da Guido Carocci, Firenze scomaparsa. Ricordi storico artistici, Firenze 1897

Fabio Borbottoni – Molino di San Niccolò

“E fu in questi stessi tempi, quando non era lontano il caso di lunghi assedi che impedissero le comunicazioni fra la città ed il contado, che si profittò della forza motrice ottenuta colle due pescaie di S. Niccolò e di Ognissanti per mettere in azione una quantità di mulini* eretti dentro la cerchia delle mura, perché potessero provvedere ai bisogni della città. Anche questi mulini dei quali oggi non esiste più traccia, erano ricchi di ricordi storici e presentavano un aspetto de’ più caratteristici e pittoreschi. Presso la porta S. Niccolò era un gruppo di mulini, che appartenevano fino dal XIII secolo ai Monaci di S. Miniato al Monte. Dopo aver messo in moto questi edifizj l’acqua dell’Arno, per mezzo d’una gora o canale alimentava gli altri e più importanti mulini detti dei Renai e di S. Gregorio. La fabbrica di questi mulini era stata iniziata sotto la direzione di Giovanni Pisano e fu continuata e compiuta da Taddeo Gaddi nel 1340.
Il Gaddi chiuse per comodità di queste mulina due delle arcate del Ponte Rubaconte e circondò il fabbricato da alte e solide mura entro le quali si penetrava per mezzo d’una gran porta sormontata da tettoia corrispondente sul Renaio. Le mulina de’ Renai che avevano nel loro insieme un aspetto antico ed oltremodo pittoresco, sono esistite fino all’epoca in cui si costruì il nuovo Lungarno Serristori occupando appunto lo spazio della gora che serviva a metterne in movimento le ruote.

Fabio Borbottoni – lungarno Archibusieri e Ponte alle Grazie, sulla sinistra il Palazzo de’ Giudici avanzo del castello d’Altafronte


Un altro mulino era presso il Corso de’ Tintori un altro dinanzi al Castello d’Altafronte e tuttora si veggono le tracce del muro di fondazione proprio dinanzi alla Piazza de’ Giudici. Le inondazioni dell’Arno più volte lo danneggiarono e fu quindi necessario demolirlo, perchè in quel punto strettissimo del fiume serviva d’impedimento al libero passaggio delle acque. Più antichi di quelli de’ Renai erano i mulini detti d’Ognissanti che nel XIII secolo le famiglie Tornaquinci e Frescobaldi avevano fabbricati nella cosiddetta isola d’Ognissanti. Nel secolo successivo gran parte di questi mulini che erano composti di vari palmenti fu acquistata dai Frati Umiliati, un ordine religioso che contribuì efficacemente a sollevare il commercio fiorentino.
Venuti da Milano nel 1251, gli Umiliati si stabilirono, prima a S. Donato in Polverosa, poi nel 1251 passarono a S. Lucia e finalmente ad Ognissanti. Essi associavano all’opere religiose, il lavoro attivo e proficuo, ed a Firenze istituirono la lavorazione della lana, impiegando per mettere in movimento gli ordigni la forza motrice delle mulina d’Ognissanti. I guadagni loro andavano in gran parte spesi in atti di carità e di beneficenza ed in opere di pubblico interesse.  I Tornaquinci ed i Frescobaldi avevano in enfiteusi perpetua l’isola e terreni d’Ognissanti dove avevano fabbricato mulini e gualchiere fino dai primi del XIII secolo. I Tornaquinci concessero il terreno per la costruzione della Chiesa d’Ognissanti. Il luogo si diceva l’isola d’Ognissanti, perché stava fra l’Arno ed un canale da quello derivante destinato a mettere in movimento i diversi mulini. Così a loro si debbono tra le altre cose la costruzione della Chiesa d’Ognissanti e del Ponte alla Carraia. Alessandro de’ Medici, ebbe paura di questi religiosi attivi, popolari, di liberali principi e li cacciò dalla chiesa e dal convento da loro fabbricati sostituendovi i Minori Osservanti e da quel giorno l’opera lunga e benefica di cotesti religiosi venne affatto a mancare.

Fabio Borbottoni – Porta della Vagaloggia detta anche di Borgognissanti verso le Cacine


I mulini d’Ognissanti passarono in diverse proprietà; ma la maggior parte andò in potere dei Granduchi Medicei insieme ai terreni adiacenti, chiamati della Vagaloggia, dove fu creato un giardino veramente delizioso. Ma anche questo finì col cadere in un grande abbandono, talchè a’ tempi nostri la località che portava un nome così seducente era triste ed abbandonata, piena di erbacce e di spini. I mulini sussistevano pressappoco nelle loro antiche condizioni ed in un ampio canale che pareva un laghetto, rumorosamente spumeggiava l’acqua che metteva in moto un gran numero di palmenti. Questi mulini erano fuori delle mura della città; ma essi pure erano circordati da opere di difesa che si collegavano colle mura e con una porta succursale o portierla, una singolare ed originalissima costruzione che si diceva la Porticciola delle Mulina. Mulina, canali, gore, i prati della Vagaloggia, la porticciola e le mura sono oggi scomparse ed il loro Cosimo I sopra a terreni che gli erano venuti in possesso, formò il giardino della Vagaloggia che lasciò poi in eredità ai suoi figli naturali, dai quali tornò successivamente nel Granduca Ferdinando I. Il Lungarno che si disse Nuovo e che oggi porta il nome di Amerigo Vespucci, il grande navigatore fiorentino che poco lungi da questa via ebbe la sua dimora, fu aperto occupando il giardino de’ Ricasoli posto alla discesa del Ponte alla Carraia, i giardinetti situati al tergo di Borgognissanti, i prati della Vagaloggia ed altri terreni esistenti fuori delle mura e posti in comunicazione col parco delle Cascine.

Veduta di Firenze durante il carnevale (Thomas Patch 1744)


Il Lungarno della Zecca Vecchia portò invece la distruzione di varie piccole torri che sporgevano lungo il fiume di dietro alle case corrispondenti alla strada che da esse si chiamava delle Torricelle . Com’è già stato detto, esse erano principalmente destinate a difendere la città da una invasione per mezzo del fiume ed erano come tante piccole vedette che si staccavano dal muro di cinta che dalla Zecca Vecchia correva dietro le case fino al luogo dov’è la piazzetta detta dei Cavalleggieri. (Così detta perchè era in faccia alla caserma dove stavano i soldati di cavalleria chiamati Cavalleggieri).
Nel 1557 una piena terribile del fiume distrusse il fabbricato e le monache si trasferirono presso la Chiesa di S. Dionisio in Via S. Gallo. Ricostruito in parte, tornò ad essere destinato ad uso di Spedale dedicato a S. Dorotea. Fu qui anzi il primo Spedale pei dementi, che continuò a sussistere fino all’anno 1787. Corrispondeva press’a poco al luogo dov’è oggi lo stabile Parenti. In continuazione del Lungarno della Zecca Vecchia è il Lungarno del Tempio che ricorda la località prossima alla Chiesa detta il Tempio o della Compagnia del Tempio, dove si conducevano prima dell’estremo supplizio i condannati. La via è stata aperta di nuovo occupando l’argine del fiume dove non erano antiche costruzioni.


Fabio Borbottoni – Lungarno Archibusieri e Ponte Vecchio

Anche il Lungarno degli Archibusieri presenta un carattere di novità. Era una strada interna, fiancheggiata da un lato da antiche case che furono un giorno palazzi delle famiglie Castellani, Girolami, Cennini, Nardi ecc. e dall’altro da una fila di botteghe che occupavano i vani delle arcate sulle quali passa il corridore che Giorgio Vasari edificò per mettere in comunicazione le due residenze dei Granduchi Medicei: Palazzo Vecchio ed il Palazzo de’ Pitti. Quegli archi dalla loro origine non erano forse mai stati aperti e nei vani loro s’erano a poco alla volta formate delle botteghe e delle casupole che alla guisa di quelle del Ponte Vecchio sporgevano sull’Arno, sostenute da mensole e da puntelli. Però, quando la piena del 1864 mise in pericolo queste baracche e minacciò per questo mezzo d’invadere la città, fu stabilito il riordinamento delle sponde del fiume e abbattute le chiusure, si riaprì e si formò un portico assai grazioso e comodissimo. Sull’opposta riva del fiume furono costruiti di pianta, tre nuovi tratti di Lungarno: quello Torrigiani, quello Serristori, quello Cellini. Per aprire il Lungarno Torrigiani si occupò il cosiddetto Prato del Barone che fiancheggiava il palazzo de’ Marchesi Torrigiani e si addossò il nuovo terrapieno al tergo delle case di Via de ‘ Bardi, distruggendo poi parecchie delle case situate a piè della Costa de’ Magnoli di prospetto al palazzo de’ Tempi, poi Vettori. Fra le fabbriche distrutte vi furono pure la Chiesa di S. Maria Soprarno che era una delle più antiche parrocchie di Firenze, diverse case che in antico erano in possesso dei Bardi, dei Marucelli, dei Guidetti, dei Corsellini. Una di queste casette era appartenuta ed aveva servito di dimora a Vespasiano da Bisticci libraio e letterato notissimo.

Fabio Borbottoni – Lungarno Torreggiani e ponte alle Grazie


Il Lungarno Serristori occupò lo spazio dell’antico canale delle Mulina, una parte del giardino annesso al palazzo Serristori fabbricato da Messer Averardo vescovo di Bitetto e, necessariamente, si abbatterono tutti i fabbricati delle mulina edificate sotto la direzione di Giovanni Pisano e di Taddeo Gaddi. Il Lungarno Cellini pure occupò lo spazio della gora de’ Mulini e l’apertura della nuova via rese necessaria la distruzione dei mulini dei frati di S. Miniato e di un tratto delle mura turrite che dalla Porta a S. Niccolò si spingevano fin sulla riva del fiume. L’Arno scorrendo attraverso alla città contribuiva a renderne più gaio l’aspetto, apriva una corrente di aria e di luce in mezzo ai palagi ed alle case aggruppate; ma costituiva un pericolo permanente di gravi e dannose inondazioni, tenuto conto del livello assai basso di alcune parti della città e del cattivo sistema della fognatura che faceva capo al fiume. L’Arno rallegra sempre e rende più vaga la città, carezzando colle sue acque le rive popolate di palazzi e di case eleganti; ma non è più per Firenze una pericolosa minaccia. Rialzate le sponde, riordinato saggiamente tutto il sistema di fognatura che non è più in comunicazione col fiume, ogni pericolo d’inondazione è scomparso e l’Arno che cagionò un giorno tante rovine e tanta desolazione è stato reso oggi mansueto ed innocuo.”

*I mulini ad acqua nel medioevo erano strumenti essenziali per lo sviluppo economico della città, oltre a macinare il grano venivano usati anche per segare la legna e per azionare le gualchiere.

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