Pubblichiamo a puntate la storia di Poppi a cura di Giovanni Caselli
I nostri antenati ‘extracomunitari’

Verso la fine del ‘300, una Giovanna di Poppi, di provenienza sconosciuta, ma con tutta probabilità di origini ebraiche, figlia di Abramo cambiavalute in Poppi, moglie dell’inglese Holme (detto “Olmo” per impossibilità di pronuncia) ma in realtà scozzese, praticava l’usura. Il marito gestiva invece la locanda di San Fedele, presso la stessa abbazia (dove oggi si trova il Palazzo Gherardi) e non vi è dubbio che Mr. Holme, da buon scozzese, abbia cercato di diffondere fra i poppesi il gusto per la birra, che forse produceva in proprio. Questo è un esempio fra i mille che forniscono un’immagine della popolazione borghese di Poppi nel ‘300.
Il fatto è che la Peste Nera del 1348 e le susseguenti epidemie, mietevano continuamente il fiore della popolazione ed i vuoti venivano nel contempo a colmarsi con immigrati da ogni parte. Questi si inserivano in una società tutt’altro che geneticamente e culturalmente omogenea poiché l’Italia, dal V secolo fino al XIII è continua meta di immigrati ebrei e cristiani provenienti soprattutto dal Medio Oriente, dove questi non avevano davvero vita facile.
Il Mazzi riporta accuratamente le vicende riguardanti le epidemie di peste e le conseguenti immigrazioni nell’Italia medievale. (M.S. Mazzi, La peste a Firenze nel Quattrocento, in: Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, a cura di R. Comba, G. Piccini, G. Pinto, Napoli, 1984, pp. 91-115.)
Il periodo più florido e splendido della cultura europea ebbe come punto di partenza l’Italia e in particolare la Toscana del 1400. Perchè proprio lì e proprio in quel periodo? Le circostanze parlano chiaro.
Fra il 1400 e il 1465, il periodo più splendente del Rinascimento, la popolazione d’Italia e in particolare di Firenze della Toscana fu falciata nel 1417, 1424, 1430, 1437, 1449-50, 1456-58, 1463-65. Tutto ciò causò un continuo rinnovarsi e rimescolarsi genetico e culturale che conferì a una società insicura, conservatrice e tradizionalista, uno spirito “progressista” e innovativo.
I massimi attori di questo straordinario movimento furono quei poveri ebrei che per scelta o per forza dovettero convertirsi al cristianesimo. Il genio insito nel ceto ebraico di origine europea o levantina, costretto sempre ad aguzzare l’ingegno per sopravvivere alle persecuzioni dei suoi fratelli cristiani, abbracciando il cristianesimo e la dottrina politica di San Tommaso, contribuì in maniera determinante a questo fenomeno che come uno tzunami doveva pervadere, nei secoli a venire, tutto l’Ecumene.
Secondo Bicchierai la popolazione di Poppi nel 1330 – subito prima della peste- ammontava a 1350 persone, senza contare ospiti e stranieri. Nel 1384 la stessa popolazione si era ridotta a circa 870 individui e nel 1477 a soli 720, ma vi era un gran numero di forestieri “presenze rilevanti per l’economia della società” come scrive lo stesso studioso. Si trattava di commercianti di Firenze, Arezzo e di altre città, di viandanti, di amministratori, legali, prelati, lavoratori stagionali, maestri muratori, tessitori specializzati, imprenditori, fuoriusciti, profughi, rifugiati politici, osti, militari ecc. La popolazione del Quattrocento non raggiunse mai i livelli di quella del primo Trecento che in effetti era eccessiva per le dimensioni del castello.

Dopo la lavorazione del cuoio e delle pelli, legata all’attività dei beccai e degli allevatori, come si vede dai documenti, veniva quella del ferro e dei metalli, con assoluta certezza da attribuirsi all’esistenza in Casentino dell’energia fornita dell’acqua, più abbondante che altrove in Toscana e che fino da epoca Etrusca aveva determinato le fortune di Arezzo. Le ferriere più importanti si trovavano nel territorio di Raggiolo. I ferraioli di Poppi non fondevano metalli, essi ottenevano i lingotti dalle ferriere dislocate lungo i torrenti, che poi lavoravano in bottega. Fra questi vi erano “spadai” e “coltellinai”, ma l’attività principale era quella della manutenzione di vomeri e altri attrezzi agricoli, nonché ferri e chiodi per ferrare buoi, muli, asini e cavalli, soggetti a continuo deterioramento e consumo. Le armi e gli armamenti venivano prodotti dalle stesse mani. Il minerale grezzo doveva provenire da Populonia e dall’Elba, poiché la presenza di ferro altrove in Toscana è ed era trascurabile.
Conciatori e pellicciai si chiamavano “pelliparii”, mentre i fabbricatori di finimenti si chiamavano “sellai”. Assieme ai “corazzari” che facevano armature di ferro vi erano i conciatori che facevano corazze di cuoio cotto. Nell’industria delle armi vi erano naturalmente gli “spadai” e i “balestrieri” professionisti.

Una popolazione: due visioni del mondo
La popolazione del Casentino era divisa in due società, parlare di ceti o classi sarebbe fuorviante. La società comitale, di antica origine germanica, comprendeva il Conte e la famiglia con una cinquantina di servi e amministratori, quindi vi erano guardie armate, mercenari stranieri e numerosi contadini e pastori. I contadini dovevano costituire oltre il 50% della popolazione nel suo complesso.
Il fatto che i documenti non si dilunghino su contadini e pastori non significa che essi fossero numericamente pochi. In ogni società pre-industriale i contadini devono formare almeno il 70% della popolazione e questa deve essere stata la realtà del Casentino.
Dagli Estimi del 1384 il Bicchierai ricava l’ipotesi che gli artigiani formassero il 26,5% degli uomini attivi, i commercianti il 12,5%, prelati e nobili il 6,7%, notai e medici il 6,25%, i religiosi il 6,25% ed il rimanente 42% egli ipotizza coinvolto in attività agricole o pastorali. Considerando che il commercio era molto attivo può darsi che nel caso specifico del Casentino i produttori di alimenti – contadini e pastori – fossero in numero inferiore alla norma. Tuttavia il calcolo di Bicchierai riguarda forse la popolazione del castello e delle sue immediate vicinanze e non includa la popolazione di casali, casalini e ville sparsa in alta montagna. I mercenari del Conte erano di solito delinquenti in fuga e potevano essere di qualsiasi provenienza etnica.
Quindi vi era la società “borghese”, letteralmente del “borgo” o se si preferisce “urbana”, prevalentemente di origine esterna, con una alta percentuale di
levantini, fino al XII secolo, era dedita all’industria all’artigianato e ai servizi. Vi erano fra questi un gran numero di notai, presta denari (usurai), mercanti locali, artigiani con la loro bottega, osti e albergatori.

Non bisogna dimenticare che un vasto settore della popolazione, dove le due società venivano ad avere uguale status e ad incontrarsi, era quello dei religiosi che non solo vivevano in conventi e monasteri di campagna, ma gestivano anche ospedali, compagnie religiose e lazzaretti in città. Col tempo le due società della popolazione non erano determinate dalla provenienza genetica o etnica degli individui, ma sempre più dal caso o da scelte personali. Tuttavia rimase a lungo vigente la divisione in due “visioni del mondo”, del diritto e del profitto, restie a mischiarsi.
Non deve sorprenderci se questa popolazione divisa in due è governata fra ‘300 e ‘400 da una diarchia Comune/Conti, ognuna delle quali ha una sua interpretazione del diritto e si prende carico di settori diversi dell’amministrazione pubblica, mentre in certi altri settori si sovrappone. Alla fine prevarrà, appunto, il diritto romano, contrariamente a quanto accadrà ad esempio in Inghilterra dove il diritto consuetudinario di origine barbarica vige ancora oggi.
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