Tra il 1362 e il 1364 le tensioni fra la Repubblica Fiorentina e qualla Pisana si acuirono fino a sfociare nello scontro armato il 28 luglio di quell’anno nei pressi della cittadina di Cascina.
La politica espansionistica delle due città e il loro reciproco tentativo di allargare la proprio zona di influenza commerciale l’una a scapito dell’altra avevevano già portato a vari scontri negli anni precedenti con alterne vicende  che si conclusere con la sconfitta dei Pisani a Cascina.
Fin dal 1356 Pisa attuò nei confronti di Firenze una politica doganale assai restrittiva che aveva costretto la città rivale ad utilizzare il porto senese di Talamone anziché quello di Pisa. L’anno precedente  i Pisani nel corso di un’ncursione si erano spinti fin sotto le mura della città e avevano impiccato degli asini in segno di scherno; i fiorentini avevano risposto con devastanti scorrerie nel territorio della Repubblica marinara.
Nella seconda metà di luglio i due eserciti si mossero dalle rispettive città e si accamparono nei pressi di Cascina. Il Repetti identifica a Gello di Lavajano il luogo “ove fecero il campo” i Fiorentini comandati da Galeotto Malatesta.

“È situato in mezzo a una bassa pianura colmata dalla fiumana Cascina e dalla Fossa Nuova, sullo stradone di Gello, che guida dalle Fornacette a Ponsacco. – Costà si accampò l’esercito fiorentino, all’occasione della famosa battaglia di S. Vittorio, accaduta li 28 luglio del 1364, fra Cascina e la Badia di S. Savino.”

Manno Donati, uno dei capitani della parte guelfa, in accordo con Galeotto Malatesta, comandante delle truppe fiorentine, rinforzò di nascosto le difese del luogo dove era accampato l’esercito e poi fece trapelare attraverso falsi disertori voci che i Fiorentini avevavo difese scarse e non erano pronti alla battaglia.

Giovanni Acuto, comandante dei Pisani accampati nei pressi di San Savino, prestò orecchio a queste voci e decise di attuare una serie di piccoli attacchi con lo scopo di confondere il nemico e saggiarne la resistenza prima di scatenare quello vero e proprio pensando di cogliere di sorpresa i Fiorentini non ancora organizzati.

Al contrario di come supponeva l’Acuto le difese del nemico si dimostrarono ben salde, l’attacco pisano fu respinto tanto da indurre il comandante pisano a ordinare la ritirata.
A questo punto, i Fiorentini con l’ausilio degli alleati aretini e genovesi, oltre a truppe mercenarie, inseguirono il nemico e lo raggiunsero nei pressi di Settimo, facendone strage. Molti furono uccisi e altri fatti prigionieri furono condotti a Firenze e costretti ai lavori forzati. Tra le varie opere edificate si ricorda anche la famosa Tettoia eretta in pizza della Signoria e chiamata appunto “dei Pisani”.
Agli inizi del Cinquecento il confaloniere Pier Soderini incaricò Michelangelo di realizzare un affresco per celebrare la vittoria dei Fiorentini nella battaglia contro i Pisani. L’opera avrebbe dovuto decorare il salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio ma non venne mai realizzata probabilmente perché l’artista venne richiamato a Roma da papa Giulio II. Del progetto rimangono solo alcuni schizzi su cartone.

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