Nel XIII secolo Firenze, dopo la vittoria sugli aretini a Campaldino e quella sui senesi a Colle Val d’Elsa. Era divenuta la città stato più potente della Toscana sia sul piano economico e commerciale sia su quello militare.
Nell’area costiera Lucca continuava a mantenere una certa importanza la repibblica marinara di Pisa. Quest’ultima concentrava però i suoi interessi sui traffici marittimi senza entrare in diretto conflitto con Firenze ma incontrando un grosso ostacolo alla sua espansione in Genova, l’altra potenza marittima che puntava a stabilire la sua supremazia sul mar Tirreno, la Sardegna e i porti del Mediterraneo occidentale.

Nel 1241 i Genovesi erano stati sconfitti da Pisani sostenuti dall’imperatore Federico II presso l’isola del Giglio in uno scontro navale con qualche migliaio fra morti e feriti e 4000 prigionieri condotti a Napoli. Le tensioni fra le due repubbliche marinare, mai sopite, tornarono ad acuirsi con varie provocazioni e scaramucce diplomatiche agli inizi degli anni ottanta fino allo scontro navale nell’agosto 1284.
Pisa aveva preparato segretamente una grande flotta da guerra sotto la guida del podestà, il veneziano Alberto Morosini. Si imbarcarono quasi tutti gli uomini abili e la maggior parte della nobiltà pisana, compreso il conte Ugolino della Gherardesca protagonista del XXX canto dell’Inferno dantesco e il nipote Anselmuccio. Ma l’attacco che voleva sorprendere i Genovesi fu ostacolato da una forte burrasca che costrinse le navi di Pisa da poco salpate a rifugiarsi a Bocca d’Arno, dentro la foce del fiume.
Nel frattempo Genovesi accortisi della minaccia si diressero verso la Meloria, un isolotto sabbioso circondato da scogli lungo nove chilometri e largo due, proprio di fronte all’antico Porto Pisano, che già a quel tempo era soggetto al progressivo ma lento insabbiamento della costa tra la foce dell’Arno e il mare.


La mattina del 6 agosto 1284, le navi genovesi si disposero in due ordini. Il primo, a vele spiegate era al comando di Oberto Doria, il secondo, senza vele al vento sembrare una flottiglia di navi di sostegno logistico, spesso presenti all’epoca, ma in realtà erano egualmente armate e pronte all’attacco, che avrebbero dovuto attaccare di sorpresa il lato della flotta nemica, sotto il comando di Benedetto Zaccaria. I Pisani caddero nell’inganno, nonostante il cospicuo armamento, e la sconfitta pisana fu schiacciante.
Furono usati tutti i più moderni ritrovati bellici, dal lancio di vasi pieni di una mistura saponosa che rendesse i ponti scivolosi, a quelli di polvere di calce asciutta per offendere gli occhi e impedire la visuale ad infine, ma non da tutti testimoniato, al lancio di proiettili infuocati. Non mancarono anche una serie di scontri individuali, come quello che vide la lotta senza quartiere fra la galera del Doria e quella del Morosini.

La flotta di Pisa fu completamente distrutta, sette galere affondate, ventinove catturate, cinquemila prigionieri rimasti per molti anni nelle carceri genovesi o riscattati a costi altissimi. Anche i Genovesi subirono pesanti perdite ma trionfando comunque sulla città rivale ne limitarono fortemente l’egemonia sul mare. Altra conseguenza importante fu il fatto che col declino dei traffici marittimi i Pisani rivolsero i loro interessi commerciali verso l’entroterra entrando spesso in conflitto con l’espansionismo fiorentino. Nei decenni successivi i Fiorentini sconfissero i Pisani prima nella battaglia di Montecatini nel 1315 e poi in quella di Cascina nel 1364 fino alla completa conquista della città nel 1406.