Da: Guido Carocci, Firenze scomparsa, Firenze 1898

Fabio Borbottoni – Tiratoio delle Grazie

“Ricordo e simbolo dell’importanza infinita di un’arte che fu la causa prima e principale della ricchezza e della potenza di Firenze erano i tiratoi, quei colossali e strani fabbricati che fra un basamento di pietrami ed una gigantesca tettoia racchiudevano un laberinto di terrazze, di scale, di anditi, di antenne, di traverse, di staggi, una costruzione di legname insomma d’un tipo tutto speciale. Come lo dice il loro stesso nome, cotesti edifizi erano usati per stendere e tirare le stoffe, nella stessa guisa che le Gualchiere erette fuori della città sulle rive dell’Arno servivano a lavare e battere le stoffe medesime. Appartenevano o alla corporazione dell’arte della Lana o a società commerciali o a famiglie che esercitavano l’arte della lana o quella della tintoria. L’ampiezza di questi tiratoi dove potevano trovar posto migliaia di braccia di stoffe e matasse in gran copia, il numero cospicuo di questi edifizi esistiti in un epoca a Firenze servono a dare una idea della immensa quantità di produzione che Firenze diffondeva in ogni parte del mondo. E l’arte della lana era difatti la fonte principale di quelle ricchezze che affluivano a Firenze e che facevano della nostra repubblica uno de’ più forti e più autorevoli Stati d’Italia. Le galere coll’orifiamma fiorentina trasportavano anche ne’ mari più lontani i panni qui lavorati, in tutti i centri più importanti d’Europa e d’Asia i nostri mercatanti avevano case e rappresentanti ed i guadagni prodotti da quest’industria contribuirono efficacemente a render Firenze così splendida per dovizia e per imponenza di monumenti. Nel xiv e xv secolo si può dire che oltre una metà della nostra popolazione fosse occupata nell’esercizio dell’arte della lana e ricercando fra le matricole di quest’arte si ritroverebbero facilmente fra i proprietari di tiratoi, di fabbriche, di fondachi, di banchi d’arte della lana i nomi delle famiglie che nella storia fiorentina occupano le pagine più gloriose, delle famiglie più cospicue che costituirono la nostra nobiltà. Li stessi cittadini che discendevano dai più alti lignaggi, che avevano conquistato i gradi più elevati nel governo dello stato, che avevano avuto onori e titoli e dalla repubblica e da sovrani stranieri, stavano a trattar di persona i loro affari, dirigevano i loro fondaci, andavano all’estero per ismerciare le loro mercanzie.

Le gualchiere di Remole

I libri degli Ufficiali della Decima ci recano infiniti dati per provare come dall’esercizio materiale dell’arte non rifuggissero nemmeno i cittadini più illustri. Da certi vecchi ricordi si rileva che nella prima metà del XV secolo sopra una popolazione di 95000 abitanti, circa 30000 esercitavano l’arte della lana, che erano in Firenze 200 botteghe di lana e che ogni anno si lavoravano 75000 panni tra fini e grossi. Di qui la ragione e la necessità dei molti edifizi ad uso di tiratoi che sorgevano in varie parti della città e soprattutto nei luoghi più vicini al fiume dove si lavavano i panni o ai centri di produzione. Tra i vari tiratoi un giorno esistenti ho trovato speciali memorie dei seguenti: Tiratoio dell’Aquila: era tra Via de’ Servi, Via del Castellaccio e Via degli Alfani; apparteneva per metà all’Arte della Lana, per l’altra metà a quella dei Mercatanti1. Tiratoio dell’Agnolo: era presso Via Romana nel popolo di S. Pier Gattolino ed apparteneva alla famiglia Castellani. Tiratoio degli Agnoli o degli Angioli: era in Via degli Alfani dirimpetto alla chiesa ed al convento dei frati Camaldolensi degli Angioli. Apparteneva all’arte della lana ed in parte a’frati degli Angioli e giungeva fino a Via della Pergola dove l’arte della lana edificò nel xvi secolo delle fabbriche assai graziose ad uso di abitazione. Questa località si disse fin da tempo antico il Canto alla Catena o alle Catene dallo stemma della famiglia Alberti alla quale spettavano i terreni e le case quivi esistenti. Tiratoio del Cavallo: era anche questo presso Via Romana nel popolo di S. Pier Gattolino ed apparteneva a due antiche ed illustri famiglie tuttora esistenti che esercitavano in antico l’arte della lana: i Ridolfi ed i Mannelli. Tiratoio delle Convertite: era presso la chiesa delle Convertite vicino alla Via Chiara, oggi de’ Serragli. Tiratoio de’ Falconieri: era dietro al Duomo dove sorgevano le case di quest’antica famiglia fra la Via de’ Servi e il palazzo già Guadagni. Tiratoio della Pergola: sorgeva in mezzo ad un grande orto fra Via S. Egidio, Via de’ Pinti e la strada che successivamente assunse lo stesso nome. In epoca posteriore, nel luogo del tiratoio venne eretto lo splendido ed ampio teatro che porta tuttora il nome del vecchio edifizio industriale. Diversi altri tiratoi esistevano contemporaneamente in Firenze: quelli degli Albizzi, d’Arno, della Colonna, del Leone, del Maestruzzo, de’ Rondinelli, della Scala, dell’Uccello. Col decrescere dell’importanza del commercio fiorentino e soprattutto di quell’arte che era giunta a sì alto grado di splendore e di grandezza, molti dei tiratoi divennero inutili e dopo esser restati lungamente abbandonati furono disfatti per dar luogo alla costruzione di case di abitazione. Gli unici che attraverso alle vicende dei secoli giunsero fino a’ nostri tempi, servendo agli usi di un’industria meschina e languente, furono il tiratoio d’Arno e quello dell’Uccello, i quali ci recarono il ricordo e l’esempio di un singolarissimo tipo di architettura industriale. Il primo di essi fu disfatto per dar luogo al Palazzo della Borsa dove ha sede la Camera di Commercio; l’altro venne divorato da un incendio che trovò facile alimento nelle enormi masse di legnami riarsi ed imporrati di quel vecchio fabbricato. Il tiratoio d’Arno che si chiamò anche de’ Castellani serviva più specialmente ai tintori, un ramo o membro, come si diceva in antico, dell’arte della lana, i quali fin da tempo remoto avevano le loro botteghe, o tinte, in questa parte della città per aver la facilità di valersi delle acque del fiume. Fra il Ponte alle Grazie e la fabbrica degli Ufizi il tiratoio colla sua massa imponente e fantastica, formava il centro di un quadro de’ più pittoreschi e de’ più caratteristici.

Fabio Borbottoni – lungarno Archibusieri e Ponte alle Grazie, sulla sinistra il Palazzo de’ Giudici avanzo del castello d’Altafronte

Da un lato il palazzo de’ Giudici, avanzo del castello d’Altafronte, una delle opere di fortificazione erette fra l’Arno e l’antico fossato delle mura del secondo cerchio: indietro una serie di casette, dove furono le botteghe e le officine de’tintori e de’saponai2 e sul dinanzi, lungo le rive del fiume, lo scalo chiuso e difeso da una porta, che era detta la Porticciola d’Arno o delle Travi, come piazza delle Travi era chiamata quella che oggi si dice d’Arno. Lo scalo serviva appunto per trar su dalle acque del fiume i fasci di travi, di antenne e di alberi, specie di ampie e lunghe zattere che profittando delle piene dell’Arno venivano trasportate dal Casentino a Firenze. La piazza poi era il deposito di queste travi che qui venivano segate, lavorate e mandate alla loro definitiva destinazione. Su questa piazza, sul lavoro e sul deposito dei legnami aveva certi diritti una delle arti minori, quella dei legnaioli che sul canto di Via della Mosca teneva un ufficio speciale. La Porticciola d’Arno che in antico stava generalmente chiusa, per ragioni di difesa militare, in tempi moderni per ragione del contrabbando, venne pur essa disfatta contemporaneamente al tiratoio. Nel luogo del tiratoio dell’Uccello posto nel quartiere di S. Frediano, ne venne, dopo l’incendio, costruito uno moderno per servire press’a poco agli identici usi; ma nel carattere della costruzione, nulla è rimasto che ricordi il tipo di quelle vecchie e singolarissime fabbriche.”

1. Quella dei Mercatanti era una delle più ricche fra le arti maggiori; ma era tra le meno numerose, perchè non vi erano ascritti che i mercanti di panni forestieri e perché i prodotti delle arti fiorentine non dovessero subire dannose concorrenze, il numero dei fondachi e la quantità delle pezze da potersi in- trodurre in Firenze era assai limitata. Da questi mercatanti di panni forestieri, panni che generalmente venivano dalla Francia, si chiamò Calimala Francesca (Francese) la via oggi detta Calimaruzza, dov’era la residenza dei Consoli di quell’arte.

2. Tanto i tintori, quanto i saponai erano inscritti nell’arte della Lana e ne formavano anzi delle sezioni o membri come dicevasi allora. Dalle botteghe e officine di cotesti due rami dell’arte della lana, ebbero nome il Corso dei Tintori e la Via de’ Saponai.

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