Pubblichiamo a puntate la storia di Poppi a cura di Giovanni Caselli

Facevano parte di Poppi-castello villaggi quali Ancherona, Certomondo, San Marco, Roviesine, Sova. Vi erano poi località minori e parrocchie periferiche su ambedue le sponde dell’Arno: Strumi, Becarino, Filetto, Loscove, Quorle, Buiano, Corsignano, Avena, Porrena, Sala, Agna e Memmenano.
L’alterigia e le superbe ambizioni dei due Guidi, che tentano di estendere il loro dominio o la loro influenza ora su Arezzo ora su Firenze, vengono tarpate da Firenze che costringe i fratelli ad un trattato di pace che impone condizioni durissime quali la consegna come ostaggi dei figli di Guido Novello e di sedici abitanti di Poppi, nonché il giuramento di fedeltà al cospetto di rappresentanti di Carlo d’Angiò da parte di tutti gli uomini di Poppi.
Tutto ciò ha come epilogo la battaglia di Campaldino del 1289, che si svolse proprio ai piedi del castello, a Cerromondo, presso la chiesa conventuale che fu sepolcro dei Guidi.
Nel 1290, dopo la vittoria di Firenze guelfa, il comune inviò i saccomanni (saccheggiatori)che vandalizzarono Poppi e distrussero Bibbiena, premiando tuttavia quei Guidi che avevano appoggiato Firenze nella grande battaglia fra Guelfi e Ghibellini.

Guido figlio di Simone di Battifolle, fu fra i premiati e spese i soldi ricevuti da Firenze nel completamento del castello. I Guidi di Battifolle sono infatti l’ultimo ramo della famiglia a mantenersi al potere in Casentino, sia pure sotto la protezione di Firenze.
I dissidi all’interno della famiglia e il potere guelfo in Firenze, bloccano l’espansione del dominio dei Guidi e agli inizi del ‘300 il loro possessi erano giuridicamente assai intricati, ogni casata possedeva un certo numero di quote del patrimonio di ogni castello ed ogni membro della famiglia ora parteggiava per i Guelfi ora per i Ghibellini.
I Conti di Modigliana e Porciano, possedevano Papiano, Porciano, Stia e Lonnano. Guido Salvatico da Dovadola era signore di Castel Castagnaio e di Pratovecchio. Aghinolfo, Alessandro, Guido e Ildebrandino di Romena (quest’ultimo Vescovo di Arezzo) signoreggiavano su Lierna, Ragginopoli e Partina, anche se sotto la signoria di Arezzo. Guido di Battifolle estendeva il suo dominio su Caiano, Montemignaio, quindi Poppi, Borgo alla Collina, Larniano, Fronzola, Quota, San Martino a Tremoleto e Risecco, mentre Guglielmo Novello della stessa casata, controllava Cetica, Pagliericcio, Castel San Niccolò oltre a Soci e Farneta. Guido Novello II teneva Garliano, Raggiolo, Ortignano, San Piero in Frassino.
Gli Ubertini, nell’aretino signoreggiavano su Chitignano, Rosina, Rassina, Castel Focognano, Carda e Faltona, mentre Bibbiena apparteneva al Vescovo di Arezzo.
Mentre nel 1313 Dante è ospite di Guido da Battifolle a Poppi, il Casentino è scosso da eventi che non sempre si sottolineano nella letteratura relativa al poeta. Un anno prima dell’arrivo di Dante, muore il Vescovo Ildebrandino Guidi da Romena e Bibbiena ritorna nelle mani di Guido Tarlati da Pietramala. Questi fa di Bibbiena un centro del suo potere e della sua ambizione da quando nel 1321 diviene signore di Arezzo a vita.
Uno alla volta cadono nelle mani di Guido Tarlati, Banzena, Gello e Serra che erano di Camaldoli, quindi strappa Castel Focognano agli Ubertini e Fronzola ai Guidi di Battifolle. Il Vescovo si impossessò poi di Chiusi, Chitignano e Raggiolo. Il fratello Pier Saccone Tarlati ridusse questo vasto territorio a signoria personale separata dall’Episcopato di Arezzo e mantenendo nelle proprie mani anche la città. Nel 1324, dopo la morte di Guido da Battifolle, Simone e Ugo suoi figli, si spartiscono il patrimonio e mentre andranno ad Ugo i vari castelli che si trovano fra Mugello, Val di Sieve, Valdarno e Romagna, a Simone rimarranno quelli del Casentino. Dopo una guerra contro Guglielmo Novello e figli, Simone potrà finalmente dominare incontrastato tutto il dominio casentinese dei Guidi dall’alto del castello di Poppi. Alleato di Firenze, Simone dà il suo contributo di guerriero alle battaglie della città in un periodo di conflitti contro Lucca. Attraverso fasi alterne Simone rimane fedele a Firenze anche quando la città dovrà cacciare il tiranno Gualtiero di Brienne, Duca d’Atene. Il Duca lascia Firenze, come riporta il Villani, recaodosi a Poppi lungo una via che tutt’ora rimane com’era allora e il cui percorso tocca Bagno a Ripoli, Paterno, Ponte a Rignano, Sant’Ellero, Vallombrosa, Croce Vecchia, Montemignaio, Strumi e Poppi.
Tuttavia Firenze mantiene le sue mire sul Casentino e la ribellione dei popoli di Castel San Niccolò, Vado (Strada), Cetica e Garliano che si consegnano a Firenze costituendosi in una entità territoriale detta Montagna Fiorentina, inizia un processo inarrestabile di disgregamento del potere guidingo.
Nel contempo, la valle del Teggina, con l’eccezione di Raggiolo, si consegna a Firenze costituendosi in comune col nominativo di Valle Fiorentina. Allora Firenze coglie l’occasione per muovere contro Pier Saccone e per spingere il suo dominio sempre più verso Arezzo.
Nel 1352 il Tarlati è sconfitto sotto Bibbiena dalle forze fiorentine e dei Guidi di Battifolle e così Castel Focognano è subito riconsegnato agli Ubertini.

Bibbiena, Palazzo Dovizi


Nel 1356, Marco, il figlio malandrino di Pier Saccone, quello che aveva stuprato la Mea, popolana bibbienese, è costretto a consegnare Raggiolo a Firenze.
L’anno successivo vanno a Firenze Romena e i suoi possessi , mentre nel 1359 Firenze compera a suon di fiorini Soci e Farneta da Marco di Galeotto Guidi di Bagno.
Avendo i Tarlati, i Pazzi e gli Ubaldini, parteggiato in favore dei Visconti, Firenze trova una buona ragione per appropriarsi di Bibbiena che, dopo quattro mesi di assedio, cade nelle sue mani nel 1360. La prima cosa che i Fiorentini fanno dopo aver vandalizzato la cittadina, è quella di trasformare una poderosa torre dei Tarlati, in Piazza Grande, in Podesteria.
Da questa sede, dal 1366 in poi, i podestà fiorentini, – fra i quali nel 1385 figura anche il novellista Franco Sacchetti – impongono la loro legge su Bibbiena e sul Casentino aretino. Le rimanenti proprietà dei Guidi rimangono soggette a Firenze mediante patti di accomandigia ovvero di vassallaggio. Il patto di accomandigia del 1357, stipulato da Firenze con i Conti Roberto Carlo e Francesco di Battifolle, come riporta Marco Bicchierai, contempla fedeltà a Firenze, impegno al soccorso in armi, divieto di ospitare uomini banditi dal comune e la consegna annuale a Firenze di un palio di seta del valore minimo di 10 fiorini d’oro. In cambio i Conti avranno garantita la protezione e la difesa da parte di Firenze, mantenendo l’autonomia amministrativa dei terreni dove godono di diritti signorili.
Nel 1363 i Guidi di Battifolle possiedono ancora Poppi, Battifolle, Montemignaio, Castagno, Rincine e Fornace, Borgo alla Collina, Pratovecchio, Castel Castagnaio, San Leolino e alcuni domini romagnoli.
L’abitato di Poppi mantiene tuttora la sua struttura due-trecentesca. Di questa epoca sono la maggior parte delle colonne dei porticati. Lo sono alcune delle travature lignee che poggiano sulle colonne e che sorreggono i piani nobili delle case dei mercanti, artigiani, imprenditori, cambiavalute, notai, maestri muratori e tavernieri che, provenienti da ogni paese d’Europa e dal Levante, vi si insediarono. Su queste strutture originarie si osservano assai chiaramente ristrutturazioni che vanno dal XV al XVIII secolo.
Come Stia e Pratovecchio, Poppi conserva la tradizione appenninica delle vie porticate che ha come centro di diffusione Bologna. E’ forse questo un retaggio dei maestri muratori e architetti svizzeri e lombardi che fra ‘300 e ‘400 monopolizzano a Poppi e non solo lì, tutte le attività edilizie.
E’ palese il fatto che nel Casentino solo i nuclei abitati di un certo rilievo e i castelli godessero di una edilizia di livello “urbano”, nei casali e nei villaggi dispersi nelle valli e nella montagna i contadini e i pastori vivevano quasi tutti in ruderi di torri, capanne di legno o tuguri murati a secco, coperti di paglia o di lastre fino ai primi decenni del XVIII secolo quando i Lorena incominciarono a promuovere la costruzione di vere case coloniche in muratura.
Anche laddove per murare non si usava la calce, ma solo il limo di fiume, le case erano a volte relativamente dignitose e durature. Solo nel corso del XX secolo le case di campagna del Casentino sono state coperte di tegole “marsigliesi” in sostituzione dei tradizionali tetti di lastre. Ovunque non si vedano vecchi tetti toscani, vi erano tetti di lastre fino a metà XX secolo. A Poppi, a Bibbiena e negli altri centri storici, i tetti di paglia e di lastre furono sostituiti con tetti “corinzi” a tegole ed embrici toscani soltanto a partire dal XIV secolo per ordine delle autorità signorili.

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