di Salvina Pizzuoli

Parlare di cucina toscana e non parlare di formaggio è sicuramente un peccato di storia…
Si sa che l’allevamento ha sempre caratterizzato il territorio della Toscana e che l’uso dei formaggi risale agli Etruschi, poi passato ai Romani e arrivato sino a noi anche se, per una breve parentesi, la sua presenza sulle tavole dell’Alto Medioevo spesso lo vedeva relagato su quelle dei poveri ma la diffusione nel Basso Medioevo del mangiare di magro almeno un giorno a settimana lo vide di nuovo riapparire su tutte le tavole.
Ma procediamo con ordine iniziando dall’etimo.
Formaggio deriva dal greco formos ovvero il paniere in cui veniva sistemato il latte cagliato in modo da avere una forma. I Romani invece preferirono le due dizioni di cacium per quello fresco e formaticum per lo stagionato; prendeva inoltre nome anche in base agli ingredienti aggiunti: il moretum infatti, di cui tratta Virgilio nel poemetto dello stesso nome a lui attribuito, era un formaggio pestato nel mortaio con erbe di campo, aceto e olio.
Del nostro protagonista troviamo descrizioni anche in Apicio nel suo De Re coquinaria. Più avanti nel tempo, ne fa menzione, proponendo varie ricette, nel Liber de Cocina del XIV secolo un anonimo autore toscano. Nel libro scritto dallo Scappi, nel secolo XVI, il cuoco del Papa Pio V, si annoverano casci, marzolini e raviggioli fiorentini, intendendo tra i primi pecorini di Pienza, già ai tempi i più rinomati, che tanto piacevano a Lorenzo de’ Medici, e tra i secondi i formaggi freschi.
E la tradizione dei formaggi in Toscana si rinnova nel testo di fine Settecento, Sopra i formaggi di Toscana, con la descrizione di pecorini freschi e stagionati: il tutto solo per confermare quanto la produzione fosse diffusa e raffinata.
Usato non solo come antipasto o a conclusione del medesimo, come ricorda una massima della Scxuola medica Salernitana: nihil prandium sine caseum, ma anche come piatto di portata, compare in molte ricette
A tale proposito eccone di seguito una interessante, non solo per il palato…

“Boccone del pellegrino” questo il suo titolo che è già tutto un programma, definito dalla studiosa Jessica Salvatori nel suo testo “Storia e ricette della cucina toscana”, uno spezzadigiuno che si conservava a lungo ed era quindi spesso presente nelle bisacce dei pellegrini. Uno spuntino simile, aggiunge, era anche negli scritti che narrano le gesta dei crociati in Terrasanta.
La ricetta unisce due elementi della cucina toscana: il pecorino e il miele; era usato quest’ultimo fin lal tempo degli Etruschi, ma sono stati i Romani a lasciare descrizioni dettagliate sul suo impiego come condimento per il pesce o per piatti a base di uova.
“Ingredienti: 250 grammi di pecorino fresco grattugiato; 125 rammi di farina 00; un uovo intero; sale e pepe; abbondanti foglie fi alloro, miele.
Mescolare in una terrina il formaggio con luovo e la farina, regolare di sale e pepe e formare con le mani delle schiacciatine di forma ovale. Adagiare ognuna di esse su una foglia di alloro, ricoprire con un’altra foglia, legare con lo spago e cuocere sul testo* o nel forno per qualche minuto. Non appena cotti, cospargere con un poco di miele e servire”.


*Testo: Il testo è un utensile per cuocere focacce; anticamente erano realizzati in terracotta, oggi in ghisa. Possono anche essere doppi e cuocere entrambe le facce della focaccia evitando di doverla voltare.
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