Montecerboli, Larderello, Sasso Pisano

Sin dall’antichità si ha notizia di quelli che oggi chiamiamo comunemente i “soffioni boraciferi di Larderello”: allora però Larderello non esisteva con questo nome e nemmeno l’energia geotermica che da essi viene trasformata in elettrica ormai dai primissimi anni del ‘900. 

Sasso Pisano visto dalla collina delle "fumarole"
Sasso Pisano visto dalla collina delle “fumarole”
Sasso Pisano la collina delle "fumarole"
Sasso Pisano la collina delle “fumarole”
Sasso Pisano le "fumarole"
Sasso Pisano le “fumarole” e “putizze”

Le eruzioni naturali dette lagoni, le pozze fangose di acqua in ebollizione, o i soffioni, i getti di gas e vapori, ma anche  le  fumarole o i terreni spogli delle mofete dette putizze erano conosciute già in epoca etrusca e romana, come le sorgenti di acqua calda diversamente mineralizzate che furono sfruttate per usi terapeutici.

Monterotondo marittimo, Parco delle Biancane, un lagone
Monterotondo marittimo, Parco delle Biancane, un lagone
Lagoni di Sasso, "putizze"
Lagoni di Sasso, “bulicame”
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Lagoni di Sasso

A confermarlo a Sasso Pisano, anticamente Castel del Sasso in Val di Cornia, antico borgo medievale, nelle vicinanze dell’abitato di Leccia, è stato rinvenuto un particolare esempio di complesso termale di età etrusca e romana; ma le sorgenti calde furono utilizzate anche in età successive come risulta da illustri uomini del passato che ne fecero uso tra i quali lo stesso Lorenzo il Magnifico e si sa per certo che ne esisteva un utilizzo legato alla lavorazione della lana in quanto dai soffioni si estraevano allume, zolfo e vetriolo usati come mordente. Ma fu solo nel 1777 quando il chimico Hoeffer di Colonia, direttore delle spezierie alla corte del Granduca di Toscana, vi scoprì l’acido borico, chiamato allora “sale sedativo di Homberg o Hombergio”cui era appunto attribuito potere calmante, che l’interesse per i soffioni si accrebbe e varie società ne chiesero lo sfruttamento tra cui la Larderel di Francesco de Larderel. 

Sasso Pisano una delle varie torri di condensazione
Sasso Pisano una delle varie torri di condensazione
Sasso Pisano "putizze" e torre di condensazione
Sasso Pisano “putizze” e il fumo da torre di condensazione

Nel 1818 iniziò lo sfruttamento industriale dei “lagoni” presso Montecerboli, località a cui nel 1846 il Granduca Leopoldo II diede il nome di Larderello proprio in onore del lungimirante imprenditore francese che nel 1827 aveva trovato il modo di estrarre l’acido borico quasi puro. I territori compresi tra la val di Cecina e di Cornia furono così scoperti non solo come zone con strane manifestazioni “infernali”, come il nome di “valle del diavolo” voleva indicare, ma dotate di una nuova fonte energetica. Oggi la valle che si stende alla base di Montecerboli è comunque “infernale” per i vapordotti che la circondano con il loro chiarore argenteo e le gigantesche torri di condensazione sempre fumanti, anche se si discosta dalla descrizione che ne fece il Turacchi:

Qui, un tempo, il visitatore si trovava di fronte ad uno spettacolo sconcertante: le valli erano ottenebrate da densi vapori maleodoranti e dai fianchi delle colline sbuffavano fumarole, mofete, bulicami, pennacchi, soffioni, putizze, solfatare che riempivano l’aria di brontolii e di acida umidità”

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Monterotondo Marittimo, Parco delle Biancane, un "Bulicame" , un vulcanetto di fango
Monterotondo Marittimo, Parco delle Biancane, un “bulicame” , un vulcanetto di fango

Non diversa l’immagine che ne fornisce Targioni Tozzetti nei suoi “Viaggi” nella seconda metà del Settecento descrivendo i lagoni di Montecerboli.

Si chiamano Lagoni con nome corrotto dal Latino Lacunae: in altri luoghi si chiamano Bulicami […] e in alcune parti del Volterrano si chiamano anche Fumacchi. Sono luoghi ne’ quali polle d’acqua […] acquistano un calore grandissimo, e scaturiscono fuori bollendo in maniera spaventosa, con un romore orribile, con fummo caldo e umido, denso quanto la nebbia”.

A questo spettacolo fumoso e ribollente della valle sottostante l’antico centro medievale di Montecerboli deve anche alcune varianti nell’etimo del suo toponimo. Da alcuni infatti viene indicato in mons cerberi, monte di Cerbero, dedicato al guardiano infernale che Dante raffigura come un cane a tre teste derivandone la figura dalla mitologia greca, altri sostengono che tale etimo possa invece derivare da mons cervuli o monte del cervo. Decisamente più affascinante il primo vista la posizione del piccolo borgo appollaiato com’è su un cucuzzolo di gabbro, la roccia eruttiva di cui si compone, quasi a guardia, come Cerbero, dell’inferno sottostante.

Montecerboli e le torri di condensazione

Consigliamo il video di Sergio Colombini “Quando la terra gioca”