di Salvina Pizzuoli

Quando il caso, propizio, si mette di mezzo, ne nasce sempre qualcosa di buono.
Di cosa parlo?
Parlo della chiesa e del convento in Ognissanti.
La vista è magnifica: davanti al portale si apre un ampio slargo e oltre s’intuisce l’Arno che separa le due sponde, che paiono toccarsi, e al di là, sullo sfondo, spicca la mole della bella chiesa di San Frediano in Cestello con le sue armoniose architetture e la bella cupola.

In verità sono sempre passata di qui quando la chiesa era chiusa, ma oggi è aperta: un barocco pesante mi frastorna appena entrata e quasi capisco perché sia una delle chiese che occupano un posto ai margini nell’elenco dei capolavori da non perdere e nel cuore dei Fiorentini. E invece…
È la mia amica Elisabetta, vive da anni nel quartiere, che mi accompagna alla scoperta dei tesori che, come uno scrigno dalla foggia manierata, la chiesa custodisce.
Non sono una storica dell’arte, è vero, ma sono sempre stata curiosa di sapere e conoscere i monumenti che fanno di Firenze un Museo a cielo aperto. Eppure la chiesa d’Ognissanti mi era sempre sfuggita.
E così eccomi qui a riscattare la storia di questa antica struttura che merita una visita e non solo per le magnificenze che alberga ma soprattutto perché è quasi un peccato mortale lasciarla nel ruolo di Cenerentola.
E cominciamo con ordine.


Elisabetta mi accompagna come prima cosa alla scoperta di quanto custodito e “nascosto” nel transetto a sinistra.
In alto, preceduto da una bella scalinata laterale, sotto una volta a crociera istoriata, giganteggia un Cristo in croce. Non si può non capire all’istante che si tratta di un sapiente capolavoro. Resto abbagliata dalla vividezza dei colori, dalla struttura compositiva che mi richiama tempi storici ben precisi.
Si tratta di un’opera eseguita da Giotto, tra il 1315 e il 1320, per la chiesa d’Ognissanti: una grande Croce, ma itinerante, che vuol dire trasportabile a mano. Si legge nel foglio illustrativo: “La croce rappresenta il rapporto dolorifico del devoto che si accosta con la sua umanità (vedi i volti struggenti di Maria e Giovanni) e la pacata accoglienza del cristo che riceve le nostre pene. La distanza tra il sostegno (la Croce) e la figura (Cristo) ottenuta con il contrasto tra l’oro e i lapislazzuli rispetto al suo incarnato livido, stimola la vicinanza con il penitente”.
Ho preso nota ed ho guardato con maggiore attenzione: a me tutta la composizione, compresa la magnifica collocazione, ha suggerito un’idea di grandezza, non relativa alle dimensioni, ma quella di chi soffre immolandosi, nell’umana sofferenza che emerge dal contrasto cromatico.
Ma non è solo quest’opera che oggi potremo ammirare.
Entrate nel chiostro scopriamo che la sala del Cenacolo è visitabile.

Un affresco occupa tutta la parete in fondo. Riconosco immediatamente “L’ultima cena di Ghirlandaio”. In verità quella di Ognissanti fu la prima realizzazione rispetto alla medesima in San Marco: la struttura architettonica, la disposizione del tavolo, il pavimento a scacchi e lo sfondo con il giardino retrostante, con gli alberi e gli uccelli in volo. Noto subito una differenza, forse l’unica; vicino a Giuda in quello di San Marco c’è un gatto a raffigurare il male. Identica invece la cura in entrambi dei dettagli, con la tavola su cui fa bella mostra una tovaglia ricamata alle sue estremità.
Nelle bacheche lungo la parete laterale a sinistra della stanza del refettorio leggo i temi del Cenacolo. Fotografo tutto per rileggere con calma, mi soffermo su alcuni particolari: “la tovaglia “alla perugina”. in lino pesante decorata da ippogrifi blu a punto Assisi e i simboli sulla tavola che annunciano la salvezza divina; le albicocche, simbolo del peccato, all’estrema sinistra, la lattuga simbolo di penitenza, le ciliegie allusive al sangue di Cristo, fino ad arrivare alle arance, all’estrema destra, simbolo del Paradiso; nel giardino restrostante le piante di arance e cedri a raffigurare la vita eterna, i cipressi e le palme simbolo del martirio e della morte. Nel cielo gli uccelli a rappresentare il bene e il male: l’allodola immagine dell’eucarestia e il cardellino, emblema della Passione, il pavone, simbolo dell’immortalità.
Uno sguardo ancora, prima di uscire e tornare all’interno della chiesa dove Elisabetta ha altro da mostrarmi: mi soffermo sulla capacità del pittore nel dare profondità alla raffigurazione, non ci sono infatti nella realtà due volte a vela che sovrastano la composizione, ma l’effetto è quello.


Torniamo in chiesa, riattraversando il bel chiostro: lungo la parete laterale a destra un’opera di Botticelli.
Sant’Agostino nello studio fu realizzato sul tramezzo che dava accesso al coro della chiesa di Ognissanti, in relazione al San Girolamo dipinto dal Ghirlandaio nel 1480.
Un intervento di demolizione del tramezzo determinò il trasporto delle due pitture murali, staccate a massello e collocate sulle pareti contrapposte della navata. A seguito all’alluvione del ‘66, però, a causa del degrado, fu operato un intervento di restauro, con risultati poco soddisfacenti, e pertanto si optò la rimozione della pittura dalla struttura murale montando pochi millimetri dell’intonaco pittorico ad un nuovo supporto, come lo vediamo oggi.


Il tema dell’affresco racconta un evento straordinario contenuto in una epistola del Santo dove pare avesse scritto che una volta, mentre il sole era quasi calato e lui meditava tanto da aver perso il senso del tempo, ebbe un’illuminazione: afferrò la penna per scrivere all’amico Girolamo, ma proprio in quel momento Girolamo apparve e gli disse che la beatitudine non si può pensare, immaginare, si può solo vivere e che lui, Girolamo, in quell’ istante, la stava vivendo perché proprio allora era morto.
Una curiosità: c’è un libro aperto alle spalle del Santo. Non si legge niente perché la scrittura è simulata in scarabocchi, ma l’osservatore attento vi troverà una frase di senso compiuto: “Dov’é frate Martino? È scappato. E dov’é andato? È fuor dalla Porta al Prato”.
Fu proprio nel grande libro con le dimostrazioni geometriche del teorema di Euclide che fu notata la frase. Evidentemente si tratta di una burla, da parte di Botticelli, nei riguardi di un frate, un po’ vagabondo?

E proseguendo, la Cappella Vespucci, sempre lungo la parete laterale a destra.

In alto nella lunetta la Madonna della Misericordia che, con le braccia allargate e i lembi del mantello sorretti da due angeli, accoglie alcuni membri della famiglia Vespucci: dietro la figura della Vergine il volto di un giovane: probabile ritratto di Amerigo? In basso un “Compianto” si precisa e non una deposizione, essendo la croce lontana dal corpo del Cristo di cui colpisce la giovane età nel volto di un giovane uomo di trentatre anni, così come si tramanda.

Quanto detto solo per soffermarsi sul “notevole”, ma San Salvatore oltre ad essere piena di Opere è molto antica e con una storia singolare che merita di essere raccontata (vai a: San Salvatore in Ognissanti)


Un organo settecentesco e una Crocifissione di Taddeo Gaddi, due altre opere presenti all’interno della Chiesa
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