di Guglielmo Evangelista

Montecristo (metà XVIII secolo)

Il Conte di Montecristo è un celebre romanzo di Alessandro Dumas padre scritto nel 1844, diventando uno dei pilastri della letteratura moderna; tanta è la sua notorietà che basterà ricordarne la trama a grandissime linee.
Edmond Dantés, un marinaio di Marsiglia, all’indomani della Restaurazione viene calunniosamente denunciato come partigiano di Napoleone e condannato al carcere perpetuo nel castello d’If.
Qui conosce un altro prigioniero, l’abate Faria, che gli confida come raggiungere un favoloso tesoro nascosto nell’isola di Montecristo, rivelazione che peraltro è al momento di nessuna utilità stante la condizione di reclusione dei due.
Dopo un lungo periodo di detenzione e la morte di Faria Dantés riesce ad evadere e ad arrivare al tesoro ricavandone immense ricchezze che gli permetteranno di condurre una vita agiata ma, soprattutto, di vendicarsi ferocemente di tutti coloro che l’avevano accusato ingiustamente per i propri interessi, il tutto in un caleidoscopio di personaggi e divagazioni che si inseriscono nella narrazione principale.

Alexandre Dumas (Foto di Nadar)

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L’isola di Montecristo riveste ovviamente un ruolo importante nella storia: Dumas la descrive anche in modo abbastanza appropriato, ma non vi sbarcò mai. D’altra parte in letteratura non era insolito che certe località servissero sopratutto come semplice sfondo per lo svolgimento della narrazione: basti pensare a “Il castello d’Otranto” scritto nel 1764 da Horace Walpole dove la vicenda è immaginata in luoghi dall’aspetto ben diverso da quello della Puglia dove le caratteristiche climatiche e paesaggistiche, fin dai tempi dei greci, non dovevano essere molto diverse dalle attuali. Non sono differenti nella sostanza quei dipinti antichi dove Gerusalemme o le storie dei Crociati sono rappresentate in contesti ambientali nordeuropei. D’altra parte i viaggi erano difficili e la documentazione dal vero, in ogni campo, non era la principale preoccupazione degli artisti.
Ad ogni modo confrontando la lettura del romanzo con la storia e la geografia emerge un singolare intreccio fra la fantasia dell’autore e la realtà dell’isola.
E’ indubbio che Dumas, buon conoscitore dell’Italia e autore di un reportage su un viaggio in Calabria compiuto nel 1836, avesse visto Montecristo da lontano, ma solo perché tutte le rotte fra il Tirreno settentrionale, Civitavecchia e Napoli passano nelle vicinanze.
Nonostante questo si mostra sufficientemente informato. Per le sue rovine, la posizione isolata, la natura selvaggia, Montecristo era un concentrato di tutti gli elementi cari al romanticismo e quindi non doveva essere sconosciuta nell’immaginario culturale dell’epoca.
Altri elementi li avrà ricavati dal saggio del geologo Giuseppe Giuli, il primo scienziato a visitare l’isola, pubblicato su “L’indicatore senese e grossetano” nel 1835, proprio in uno dei periodi in cui l’autore si trovava in Italia. Tuttavia più di ogni altra cosa fu fondamentale  una visita a Pianosa per una battuta di caccia nel 1842 con il principe Girolamo Napoleone. Non solo Dumas avrà potuto rendersi conto dell’aspetto di una piccola isola mediterranea (anche se dall’orografia ben diversa), ma soprattutto  sarà stata l’occasione in cui avrà potuto ascoltare le tante storie pittoresche dei marinai e dei pescatori che frequentavano saltuariamente Montecristo non meno di Pianosa.

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Un particolare piuttosto curioso e forse voluto è l’anno in cui terminano le vicende del romanzo, cioè il 1838, che raccontano del protagonista e di due personaggi minori che si ritrovano nella solitudine dell’isola: è infatti l’ultimo anno in cui ci si può immaginare Montecristo disabitata perché dal 1839, con i tedeschi  Augustin Eulhardt  e Joseph Keim, avrebbero avuto inizio i tentativi di colonizzazione, abortiti per la totalità, che proseguirono ininterrottamente fino all’acquisto avvenuto nel 1869 da parte del Governo Italiano dall’ultimo di una schiera di proprietari, l’ inglese Watson Taylor (1), anche se lo scarso numero di coloni presenti, tra l’altro con intermittenza, non disturbò mai più di tanto l’approdo sull’isola di contrabbandieri e criminali (2).
La grotta del tesoro che secondo la fantasia dell’autore viene accuratamente attrezzata dal protagonista trasformandola in un lussuoso appartamento in realtà esiste, confermando quanto Dumas era a conoscenza della geografia dell’isola anche se nella realtà è tutt’altra cosa. Si tratta della grotta di San Mamiliano, eremita del V secolo che sfuggendo ai Vandali che si erano insediati in Africa era approdato sull’isola battezzandola con il nome che conserva tuttora e vi aveva fondato un monastero che sopravvisse fino al 1553 quando fu abbandonato dopo la devastante incursione del corsaro ottomano Dragut (3).
La grotta si trova non lontano dalle rovine del monastero ed è ovviamente ben diversa da quella  che il libro descrive come vastissima e ben attrezzata, ma è un suggestivo luogo di devozione trasformato in cappella.

L’ingresso della chiesa di San Mamiliano e ex voto all’interno della grotta (Foto dell’epoca)

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E infine uno degli elementi sui cui si basa tutta la vicenda: il tesoro. Esiste una leggenda marinara che parla di un tesoro nascosto nel monastero, cosa che conferma come Dumas abbia ascoltato i racconti dei naviganti traendone utili spunti. Apparentemente è solo una delle tante storie create dalla fantasia popolare che ha immaginato per secoli la presenza di ricchezze nascoste nei luoghi più remoti, spesso abbinata, a mostri che le custodivano, ma c’è qualcosa in più.

La Villa Reale, edificio fatto costruire a metà ‘800 da uno dei proprietari dell’isola (Cartolina dell’epoca)

Sovana in provincia di Grosseto fu una grande città antica oggi ridotta a pochi abitanti ma le vestigia antiche sono numerose, fra cui una chiesa altomedievale intitolata a San Mamiliano, lo stesso la cui presenza ha segnato la storia di Montecristo.
Nel 2004 furono eseguiti degli scavi archeologici in profondità e il leggendario tesoro comparve: non quello medievale immaginato da Dumas, ma 498 solidi aurei coniati a Costantinopoli nel V secolo. Si tratta di oltre due chili d’oro che, anche senza considerare il valore storico, hanno un valore venale di circa 200.000 Euro. Non saranno le immense ricchezze immaginate da Dumas, ma è abbastanza per vivere comodamente una vita intera.

D’altra parte si sa che tutte le leggende hanno un nocciolo di verità, ma in questo caso è sorprendente come la vicenda sia rimasta legata al nome del santo, in un legame di coincidenze che con  modalità misteriose hanno legato l’entroterra al mare attraverso un tempo incredibilmente lungo.

I reali d’Italia in barca a Montecristo (Disegno di C. Tallone)

NOTE

  1. Molti anni dopo, abortito anche il tentativo di installarvi una colonia penale, l’isola fu data in affitto alla Casa Reale e Vittorio Emanuele III se ne servì a lungo come riserva di caccia.
  2. Ancora nel1849 vi si rifugiarono dei pirati che avevano depredato un veliero piemontese assassinando l’equipaggio. Il 15 giugno l’isola fu raggiunta dal piroscafo Giglio con a bordo 29 soldati del 4° battaglione Cacciatori che catturarono i malfattori nascosti in una grotta.
  3. Le rovine del monastero furono scelte come bersaglio della flotta italiana e successivamente la Marina le usò per installarvi un semaforo per le segnalazioni presidiato da fanalisti che vi trascorrevano a turno brevi periodi.

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BIBLIOGRAFIA

Riccardo Belcari: “L’sola di Montecristo nelle ricerche di Gaetano Chierci: la grotta di S.Mamiliano” In “Rassegna di archeologia” n. 23B 2007-2008

Teodoro  Caruel: “Florula di Montecristo” In “Atti della Società Italiana di scienze naturali, vol VI. Bernardini, Milano 1864

Attilio Mori: “L’isola del Re” In “Il secolo XX – Rivista popolare illustrata” Anno 3 n. 1. Treves, Milano 1903.

Carlo Paladini: “ L’isola del Re” In “La lettura” n. 5/1902 Tip. del Corriere della Sera, Milano.

Attilio Zuccagni-Orlandini: “Corografia dell’Italia e delle sue isole”. In proprio, Firenze 1842

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