di Guglielmo Evangelista

Ippolito Zibibbi nacque a Viareggio nel 1772. Il padre era un funzionario di carriera della Repubblica di Lucca, ma i suoi due figli Ippolito e Gianbattista non seguirono le orme paterne e, benché ancora molto giovani, a fine ‘700 erano contitolari di un tabacchificio a Pietrasanta la cui gestione, peraltro, dette loro parecchi grattacapi, ma rispetto all’attività imprenditoriale ben altre soddisfazioni dette ai due fratelli la passione per la politica.
Fervente ammiratore di Napoleone, lasciata la Toscana, Ippolito si arruolò nell’esercito francese combattendo in tutte le campagne di fine secolo e subendo anche una ferita.
Nel 1805 passò al servizio del Principato napoleonico di Lucca di Elisa e Felice Baiocchi con il grado fi capitano.
Nel 1813 era comandante della piazzaforte di Viareggio quando vi sbarcò un forte contingente inglese: ben conscio delle poche forze che aveva a disposizione e per risparmiare il bombardamento della città si ritirò senza combattere, permettendo agli inglesi di arrivare fino a Lucca anche se poco dopo ritornarono a Viareggio e si reimbarcarono in quanto non avevano abbastanza uomini e mezzi per trasformare questo pur fortunato raid in una testa di ponte permanente. Il suo ragionevole comportamento gli valse però una condanna a morte per codardia e solo l’intervento personale di Napoleone poté convertire la sentenza con il carcere perpetuo prima a Piombino e poi a Portoferraio.
L’astro napoleonico tramontò e, da principato vassallo della Francia, Lucca divenne un Ducato sotto Maria Luisa di Borbone-Parma.
Con il nuovo stato di cose Ippolito Zibibbi fu riabilitato e riprese la sua vita nel punto esatto in cui gli eventi l’avevano interrotta: riottenne il grado di capitano e il comando della piazza di Viareggio.

Dopo la Restaurazione le coste toscane erano fra le più malsicure essendo fra quelle preferite dai corsari nordafricani e dai contrabbandieri che trovavano comodi rifugi fra le isole dell’arcipelago e lungo le vicine coste della Corsica e della Sardegna.
Per tale ragione la Duchessa accarezzò l’idea di creare una marina militare, piccola ma sufficiente a pattugliare il breve tratto di costa.
Come comandante della nascente flotta la scelta cadde su Ippolito Zibibbi e non poteva essere diversamente: viareggino, buon conoscitore della zona, soldato valoroso e esperto. E’ vero che non aveva mai navigato, ma ovviò a questa lacuna scegliendosi come vicecomandante Giuseppe Boccardi, esperto marinaio genovese.
La Marina Lucchese fu composta dalla goletta da 6 cannoni Maria Luisa e dal bovo da 4 cannoni Carlo Ludovico; a queste navi si aggiungeva il Bargio Reale (1).
Lo Zibibbi cumulò anche l’incarico di comandante onorario del Bargio che tuttavia era affidato a Valentino Pasquinucci, il mastro d’ascia che l’aveva costruito e che lo ebbe ai suoi ordini per moltissimi anni.

Durante la sua carica lo Zibibbi fu testimone di un fatto che, pur obiettivamente non troppo rilevante, ebbe un’eco eccezionalmente ampia nell’ambito della cultura romantica europea contemporanea e il cui ricordo è ancora ben lontano dallo spegnersi.Nel luglio 1822 naufragò nel Tirreno la goletta Ariel su cui si trovava il poeta Percy Bysshe Shelley, amico e ospite di Byron che in quegli anni viveva a Lerici. I tre occupanti annegarono: il capitano fu gettato dal mare sul litorale livornese, il marinaio su quello massese e Shelley su quello viareggino: in ottemperanza alle rigidissime leggi sanitarie come furono trovati vennero cosparsi di calce e seppelliti sul posto.
Byron, la moglie e l’amico Trelawny accorsero a Viareggio e volevano disseppellire il corpo di Shelley per poi portarlo al cimitero di Livorno, ma questo venne loro proibito nel modo più assoluto. I tre inglesi ottennero solo che le ceneri fossero trasferite altrove previa esumazione e cremazione sul posto del cadavere.

Sia per dovere d’ufficio sia per un qualche timore reverenziale nei confronti dei celebri stranieri, tanto che la faccenda era seguita personalmente e con sollecitudine dal Governatore di Viareggio Frediani, accorsero sul luogo del ritrovamento le massime autorità marittime: Ippolito Zibibbi Comandante della marina e Domenico Simoncini Deputato di Sanità seguiti da un codazzo di soldati e di guardie sanitarie.
Gli inglesi officiarono una cerimonia funebre suggestiva ma strana, di gusto più che altro pagano, che scandalizzò molti dei presenti, ma a parte questo si passò sopra a molte prescrizioni sanitarie nonostante queste siano richiamate nel verbale (2).Quello che rimase di Shelley fu portato a Livorno e poi a Roma nel cimitero acattolico a Porta San Paolo dove si trova tuttora (3)


Quanto alle navi, dopo aver compiuto qualche breve crociera e aver fatto bella mostra di sé a Viareggio, nel 1823 furono vendute perché il loro mantenimento si era dimostrato troppo costoso per le esigue finanze del Ducato.
Di conseguenza, ormai ammiraglio….senza navi lo Zibibbi fu richiamato a Lucca rientrando nei ranghi dell’esercito e progredendo nella carriera; rappresentò il piccolo esercito lucchese al Quinto Congresso degli scienziati italiani che fu tenuto a Lucca nel 1843, cumulò molte cariche come quella di Comandante delle piazze e Ispettore della contabilità militare ed ebbe infine il Comando Superiore delle truppe lucchesi , che tenne fino alla morte avvenuta il 10 gennaio 1845.
Stando alle testimonianze più o meno coeve lo Zibibbi era un uomo che in base ai canoni dell’epoca potrebbe essere definito di temperamento sanguigno: una personalità fondamentalmente benevola ed estroversa, facile comunicatore ed esuberante, ma nello stesso tempo volubile e vanitoso tanto che si era fatto confezionare un’apposita vistosissima uniforme gallonata per sottolineare il suo grado di comandante della Marina che indossava pavoneggiandosi per Viareggio, tanto che fu definito una macchietta; era inoltre sgradito ai liberali” duri e puri”che non gli perdonavano la sua ritirata di dieci anni primi di fronte agli inglesi e la sua devozione alla nuova duchessa. Comunque stessero le cose e nonostante le critiche doveva essere un militare di elevate capacità come testimonia la sua brillante e ultraquarantennale carriera.
NOTE
- Nel Vocabolario Marino e militare di Alberto Guglielmotti si legge che il bovo è “un piccolo bastimento così detto dalla goffa figura ma atto a portar gran carico” mentre “A Livorno dicono bargio per quel palischermo o navicello gentile, nobile, di solenne comparsa, che ad altri non serve se non alla persona istessa del Sovrano”
- Per il trattamento di favore i tre stranieri regalarono al Simoncini un telescopio e subito le malelingue commentarono: “Così con un occhio guarda dentro lo strumento e l’altro lo tiene chiuso per non vedere cosa fanno gli inglesi”
- Un dipinto di Louis Fournier del 1889 e una stampa aventi come soggetto il funerale di Shelley. Come in tutte le raffigurazioni ottocentesche prevale il gusto romantico dell’epoca che indugia nell’immaginare un cielo corrucciato e poche persone dolenti in un paesaggio desolato. In realtà il fatto si svolse in una torrida e smagliante giornata di agosto, la spiaggia brulicava di soldati e curiosi ed era vicinissima all’abitato.
BIBLIOGRAFIA
Guglielmo Evangelista: “Le navi del Granduca” Antares, Cremona 2023
Alberto Guglielmotti: “ Vocabolario Marino e militare” Voghera, Roma 1889
Eugenio Lazzareschi: “Il Capitano Ippolito Zibibbi” In “Il Messaggero Toscano” n. 146/1918
Eugenio Lazzareschi: “Sulla spiaggia di Viareggio” In “Il secolo XX” n. 9/1913
Antonio Mazzarosa: “Storia di Lucca dalla sua origine fino al MDCCCXIV”
N.N.: “Raccolta delle decisioni della Ruota fiorentina dal 1800 al 1808”. Marchini, Firenze 1840
Articoli correlati:
Altri articoli dello stesso autore presenti nella rivista:
Carlo Martellini, l’ultimo marinaio del Granduca