da Guido Carocci, Firenze scomparsa. Ricordi storico artistici, Firenze 1897

Le mura lungo via dei Bastioni

Gli ampi ed eleganti viali che descrivendo una specie di semicerchio, ombreggiati da alberi rigogliosi, fiancheggiati da graziosi casamenti, interrotti di tanto in tanto da piazzali e da fioriti giardini, vanno a ritrovare le due parti estreme del lungarno, segnano press’a poco la linea delle antiche mura cittadine. Firenze oltrarno, conserva tuttora quasi intatto il cerchio delle sue mura, mentre le mura della parte posta alla destra del fiume sono cadute per aprire nuovi sbocchi alla città rigurgitante di fabbricati. Di quelle mura che avevano vissuto circa sei secoli non è restato oggi che il ricordo, rappresentato da quei capi saldi che sono le porte e due antiche torri. Fu tra il 1280 e il 1300 che i Fiorentini uscendo dall’angusta cerchia che limitava la città fra l’Arno e la Piazza del Duomo, tra il Ponte alla Carraia e quello alle Grazie, pensarono di racchiudere entro una nuova cinta i sobborghi già ricchi di abitazioni e popolatissimi e dettero quindi mano alla costruzione di quelle mura che con poche modificazioni sono giunte fino a nostri giorni. In una costruzione che procedette abbastanza lentamente, perché le vicende guerresche di que’ tempi distrassero dall’opera grandiosa e dispendiosa gli uomini validi alle armi e assorbirono i denari delle casse pubbliche, si lavorò a tratti, un po’ qua ed un po’ là, si eressero una dopo l’altra le diverse porte e solamente a’ primi del XIV secolo Firenze si trovò racchiusa entro la nuova cerchia, ampia e ben munita corona di mura merlate. Alla direzione dell’opera ebber parte non pochi fra gli architetti di quel tempo; ma sembra che l’ufficio direttivo fosse particolarmente esercitato da Arnolfo di Cambio da Colle, l’architetto di S. Maria del Fiore, al quale si attribuisce il disegno di alcune porte. Noi abbiamo vedute queste mura notevolmente alterate nelle loro proporzioni, nelle loro linee, in alcune particolarità; ma dai disegni antichi che tuttora sussistono, dal dipinto raffigurante l’assedio di Firenze che vedesi nella Sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio è facile farsi una chiara idea dell’aspetto di quelle gagliarde opere militari.

Giovanni Stradano, L’assedio di Firenze (1555, Firenze Palazzo Vecchio, Sala di Clemente VII)

Le mura alte, merlate, munite di un ballatoio o cammino di ronda che le percorreva da un estremo all’altro, sollevantesi sopra larghi e profondi fossati, erano interrotte ad intervalli pressoché regolari da torri o bastioni sporgenti. Le porte poi erano sormontate da un torrione di 60 braccia d’altezza (metri 35,40) con vari ordini di finestre e il coronamento merlato sporgente su mensole ed archetti. Ciascuna di esse era pre ceduta da un antemurale, a guisa di quelli che si veggono ad alcune porte di Siena, che aveva dinanzi il ponte levatoio da gettarsi attraverso ai fossati. Una pallida idea dell’aspetto di queste porte possiamo averla in quella di S. Niccolò, sebbene anch’essa sia stata deturpata nella parte superiore che manca della merlatura e degli archetti sporgenti, i quali avevano lo scopo di difenderla e d’impedirne l’accesso dal lato esterno.

Porta San Miniato fuori le mura in un quadro di Borbottoni

Certo l’insieme di queste opere di architettura militare del medioevo, quand’erano complete e intatte, doveva essere di una grandiosità e d’una imponenza straordinaria. Sulle torri, delle solide antenne sostenevano le bandiere della repubblica; sulla merlatura erano infisse ad intervalli delle gabbie o fanali di ferro battuto dove in tempo di notte ardevano schegge e tronchi di legno resinoso. A’ nostri tempi, la cinta delle mura cittadine era già notevolmente trasformata. Gran parte della merlatura era caduta ed in parte stata distrutta e rasata all’altezza del piano dei ballatoi, le torri erano state scapezzate e le porte principali avevano subito quella radicale trasformazione che le ridusse meschine, nane, depresse, come veggonsi oggi.

Giuseppe Zocchi, L’Arno a San Niccolò (con la porta e Le Mulina)

I superbi torrioni alti sessanta braccia che sorgevano a dominare le adiacenti campagne erano stati abbattuti per ordine di Cosimo I verso il 1552; il primo ripiano, superiore alla volta dell’arco, ridotto a piattaforma, serviva ad uso di batteria ed una tettoia piramidale sostenuta da piloni angolari proteggeva le artiglierie collocate dal timoroso signore a difesa della città.

Degli antemurali che avevano aspetto oltremodo pittoresco non era restata traccia, ai ponti levatoi si erano sostituiti dapprima ponti in muratura, poi anche questi furono interrati insieme a gran parte delle fosse. Anche il torrente Mugnone*, che fin da tempo immemorabile avea la missione di versare il filo argentino delle sue acque nel largo canale entro il quale le mura rispecchiavano le loro linee, era stato allontanato e chiuso dentro argini speciali, utilizzando alcuni tratti del fossato per uso di ghiacciaie

E queste ghiacciaie che l’altezza delle mura difendeva dai raggi del sole, hanno la loro parte di storia; presso la porta a Pinti, una delle più ampie servì di pista al giuoco del pallone ne’ tempi più brillanti di quell’esercizio così bene accetto a’ fiorentini; un’altra ghiacciaia, detta del Cardinale, presso la Fortezza da Basso, fu allegro teatro dell’esercizio del pattinaggio la prima volta che alcuni ospiti stranieri cercarono d’introdurlo tra noi.

Fabio Borbottoni – Il complesso della Zecca Vecchia prima della distruzione

Due strade, una interna, l’altra esterna, seguivano la linea della mura. Quella esterna, più animata per il passaggio della gente e dei carri che si dirigevano verso le porte, popolata di tratto in tratto da casette moderne, da luoghi di ritrovo, da osterie, da pallai; l’altra solitaria, deserta, chiusa fra gli alberi e le mura, una passeggiata triste, melanconica, propizia soltanto per la gente misantropa e per gl’innamorati. Delle porte, quelle di S. Gallo**, della Croce e del Prato esistono tuttora, isolate, in mezzo a dei piazzali, destinate unicamente a ricordare quello che furono e che non sono più; altre scomparvero fra le rovine; gli amanti delle cose pittoresche ed artistiche rimpiangeranno tuttora quel vaghissimo quadro vivente rappresentato dalla torre irregolare e singolarissima della Porta a Pinti alla quale facevano corredo dei gruppi di bruni ed annosi cipressi. E tra le fabbriche immolate ai bisogni della modernità va pure annoverata la Porta Guelfa che più delle altre aveva mantenuto il carattere organico colla torre che rammentava quella di S. Niccolò. Delle molte torri e dei bastioni delle mura restano la torre della Zecca Vecchia ridotta poi informe, e priva di carattere ed una torre con una porticciuola, completamente restaurata in epoca moderna, posta fra la Porta al Prato e le Cascine.

Porta a Pinti

I bastioni della Fortezza Vecchia nascosti in gran parte dal suolo rialzato, la pittoresca torre de’ quattro canti fra la Porta alla Croce e la Porta a Pinti, la vecchia porta detta di S. Sebastiano***, la singolare torre del Maglio destinata ad innalzare le acque per le pubbliche fonti, la caratteristica Porticciola delle Mulina, sono scomparse insieme a quelle mura così pittoresche sulle quali si arrampicavano masse d’edera e fiorivano rigogliosi i gigli fiorentini.

Firenze, Fortezza da Basso, in un dipinto di Fabio Borbottoni

Restano come abbiamo detto quei pochi avanzi così mutilati e così trasformati da far compassione, rimane la Fortezza di S. Giovanni Battista, un giorno imponente e grandiosa, oggi in gran parte seppellita ed immeschinita per il rialzamento del suolo. Quante pagine di storia, quanti avvenimenti, quanti episodî, ci rammentavano quelle mura e quelle porte! Per secoli e secoli su quei ballatoi avevano passeggiato i soldati che guardavano e custodivano la città; in quelle torri, sui bastioni s’erano riunite le compagnie delle milizie cittadine pronte a combattere in difesa della libertà. Nelle notti cupe le grida d’allarme si propagavano e si diffondevano ripetendosi come un eco di torre in torre; di lassù tante e tante volte colle bandiere di giorno e coi fuochi di notte s’erano fatti i segnali che le torri delle vicinanze osservavano e ripetevano onde con questo genere di telegrafia medioevale gli ordini e gli avvisi giungessero fino alle più lontane fortezze dello Stato Fiorentino.

E quelle porte, quante volte s’erano aperte per accogliere festose le milizie reduci dalla vittoria o gli ospiti illustri, e i personaggi benemeriti; o s’ eran chiuse rapide e cupe dietro gli sbandati resti delle compagnie sgominate nella battaglia! Quelle mura e quelle torri sono ormai rase al suolo: rimangono, sotterrati nell’oblio, i fondamenti di quelle solide muraglie e su quell’avanzo che ricorda tante e tante memorie passa non curante e indifferente la gente moderna su pei tram e nelle carrozze correnti per gli ampi viali, che sostituiscono con una gaiezza di colori, con un trionfo di luce, la triste e severa massa delle vecchie e sconquassate mura.


*Negli scavi fatti in diversi punti della città, si è potuta aver la prova che il torrente Mugnone scendeva direttamente verso la città, seguendo l’andamento delle mura. Le tracce del letto di questo torrente si sono trovate attorno alle mura del Campidoglio Romano, da Piazza del Duomo verso l’angolo di Via de’ Martelli, poi lungo la linea di Via Guelfa, al Canto alla Macine. In epoca più recente seguendo il tracciato delle mura attuali, il Mugnone sboccava in Arno presso il luogo dov’è il ponte di ferro delle Cascine; poi fu per varie ragioni, d’igiene specialmente, allontanato dalla città e arginato fino all’estremità del parco alle Cascine.

**Come si rileva da un iscrizione stata murata all’esterno della porta che ebbe nome dal prossimo monastero di S. Gallo, distrutto in occasione dell’assedio, essa fu edificata nel 1284 a tempo di Rolandino da Canossa Capitano del popolo di Firenze

***Questa postierla o porta succursale che prospettava la Via S. Sebastiano, oggi Via Gino Capponi, era stata aperta ad istanza dei Frati Serviti per agevolare la strada alla gente che dalle prossime campagne si recava al santuario della SS. Annunziata.

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