da Guido Carocci, Firenze scomaparsa. Ricordi storico artistici, Firenze 1897

Fabio Borbottoni – Il complesso della Zecca Vecchia prima della demolizione

“La torre che non presenta oggi che le quattro mura di pietra, nude e senza adornamenti, ma che un giorno dovette essere assai più elevata e col coronamento merlato, sorge isolata alla estremità del Lungarno, di prospetto al viale Carlo Alberto (oggi viale della Giovane Italia n.d.r.). È l’unico avanzo, l’unico ricordo di una quantità di costruzioni antichissime che sorgevano in questo luogo e che erano conosciute col nomignolo comune di Zecca Vecchia.Prima della demolizione delle mura, la torre sorgeva sulla riva del fiume framezzo ai terrapieni di una fortezza smantellata, alle gore di mulini e di edifizi, poco distanti dalle mura che in questo luogo presentavano le tracce di una porta richiusa. Il fabbricato attiguo alla torre ed alle mura appariva come un’amalgama di parti antiche e di moderne: aveva de’ muraglioni colossali, degli stanzoni a volta, de’ lunghi corridoj, dei ballatoj sporgenti sulle fosse dove l’acqua dell’ Arno metteva in movimento le ruote dei mulini e le macchine di alcuni opifici per la fabbricazione di stoffe.
Quelle costruzioni che nel loro insieme presentavano un aspetto de’ più pittoreschi, completato della veduta delle verdi rive del fiume e dei deliziosi colli che vi stanno di prospetto, si collegavano ad una serie infinita di vecchi ricordi . Una porta succursale o postierla esisteva in questo luogo, difesa da quella torre che aveva pure la funzione di guardare e impedire che per la via del fiume qualcuno potesse introdursi in città per mezzo di barche o di zattere. Si chiamava porta della Giustizia, ma triste e funerea era la cagione di quel nome. Fuori delle mura all’estremità di un praticello che si stendeva al di là del fosso, sorgeva una piccola chiesa, bassa di costruzione, angusta nell’interno e colla facciata adorna di pitture dai soggetti mesti e rattristanti. Su quel prato di tanto in tanto s’ inalzavano le forche e si compievano gli ordini di giustizia. In generale, la porta stava chiusa per le ragioni della difesa della città e le sue imposte si spalancavano quasi sempre per lasciar passare i cupi corteggi che per la via opportunamente chiamata dei Malcontenti, venivano ad accompagnare gli sciagurati che la giustizia umana condannava alla soppressione.

Sotterranei della torre della Zecca Vecchia

Nel 1346 i fratelli della Compagnia di S. Croce al Tempio si offersero per confortare ed accompagnare all’estremo supplizio i condannati. Questi venivano condotti diverse ore avanti il supplizio in una cappella situata nella Via de’ Malcontenti presso S. Giuseppe, dov’è oggi la Compagnia di S. Carlo e dove si addita. Quella chiesa mestissima li accoglieva per pochi istanti, perchè udissero per l’ultima volta le preci dei defunti e poi il carnefice compiva l’opera sua. I cadaveri irrigiditi, contratti, restavano poi ore e giornate penzoloni alle forche perchè il truce spettacolo servisse di remora e di terrore, ed il popolino che anche di fronte alle cose più tristi trovava sempre la sua nota umoristica aveva battezzato la località, appartenuta già alla famiglia Nemi, col nome di paretaio del Nemi.La porta della Giustizia fu chiusa a tempo dell’assedio, nè mai più venne riaperta ed alla non lontana Porta alla Croce toccò in eredità l’ufficio di servir di passaggio ai corteggi dei condannati. Della porta della Giustizia, in molta parte interrata per il rialzamento del suolo , si vedeva l’arco anche a’ tempi nostri e al disopra dell’arco le tracce del ballatoio sporgente munito di piombatoi.La torre che sussiste tuttora, aveva in origine 40 braccia d’altezza ed era chiamata la Torre Reale. Al pari della torre anche il ponte si doveva chiamare Reale, perchè si erigeva in onore Roberto Re di Napoli grande amico de’ Fiorentini e capo supremo delle forze della parte Guelfa. Ma la grandiosa costruzione iniziata nel 1317 dovette esser sospesa per cagione delle vicende guerresche e in seguito non fu più continuata. Rimase solo la torre che collegata opportunemente colle mura venne destinata a guardia del fiume.Nel tempo dell’assedio (si riferisce al celebre assedio di Firenze del 1530 ad opera di Carlo V n.d.r.) fu qui costruito un baluardo provvisorio munito di alti terrapieni e nel 1532 il Duca Alessandro, volendo garantire da ogni possibile attacco questa parte della città, vi costruì un’ampia e ben munita fortezza incorporandovi la torre Reale ed anche l’antica chiesetta che serviva alle preghiere de’ condannati. Questa fortezza si chiamò comunemente la Fortezza Vecchia, dopo l’edificazione di quella da Basso o di S. Giovanni Battista.

Fabio Borbottoni – Il Molino della Zecca Vecchia


La pescaia di S. Niccolò dirigendo l’acqua in una apposita gora dava la forza motrice ad un buon numero di ruote le quali vennero un epoca adoperate per mettere in movimento gli ordigni e i torchi per coniare la moneta. Esiste un ricordo secondo il quale si sarebbe cominciato nel 1572 a batter moneta per forza d’acqua; ma dell’esistenza in questo luogo di officine addette alla Zecca e dipendenti dall’arte del Cambio si hanno ricordi anche più antichi, ciò che giustifica il nome di Zecca Vecchia rimasto a questa località. Com’è già stato detto, cessate le necessità della difesa, tutto il gruppo di fabbricati che sorgeva attorno alla Torre Reale era stato adattato ad usi industriali ed aveva subito una trasformazione completa. Però al momento della demolizione delle mura per creare lo spazio destinato ai nuovi viali , apparvero molte tracce delle antiche parti che erano rimaste sepolte dalle superfetazioni e dal rialzamento del suolo. Si rivide la forma della porta, si ritrovarono i muri de’ bastioni della Fortezza, i vecchi fossati delle mura e nel rimuovere il terreno di riporto che riempiva lo spazio già compreso fra i bastioni, venne in luce anche la cappella di S. Croce al Tempio, l’ultima stazione dei condannati.

La Torre della Zecca oggi

L’edifizio era di forme assai caratteristiche e sulla facciata si vedevano benissimo gli affreschi di Spinello Aretino sebbene fossero rimasti sotterrati per lo spazio di tre secoli. Ricordo perfettamente la forma della cappella, le linee graziose della porta, l’effetto singolare di quella specie di riquadri entro i quali erano rappresentate tante storiette relative alla Passione di Gesù Cristo. Eravamo nel periodo più saliente di quella febbrile attività, di quel movimento cagionato dalla venuta della capitale; chi s’occupava d’arte e di monumenti s’era tirato da parte per non essere investito e travolto dalla furiosa valanga e tutte queste memorie, questi avanzi che in altri momenti avrebbero suscitato un interesse ed una cura speciale, scomparvero senza che nessuno pensasse nemmeno a ritrarne il benchè minimo ricordo. Così in meno che si dice, tutto quel gruppo di fabbricati fu rasato al suolo, i muraglioni ed i fossati furono ricoperti di terra e di scarico e in mezzo agli ampi viali resta ora appena quella modesta torre a rammentare la località dov’erano la Porta della Giustizia, la Fortezza Vecchia e gli avanzi del Ponte Reale.”

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