Da Roma a Luni, un viaggio nel V secolo d.C.
da il De Reditu suo di Rutilio Namaziano
descritto da Giovanni Caselli
L’Aurelia proseguiva diritta, traversava il Minio (Mignone), per entrare nel litorale di Tarquinia, con i due porti di Graviscae e di Martanum. La città più importante dell’Etruria sorgeva sul colle a nord dell’attuale. Fondata da Tarconte, figlio di Tirreno, nel IX secolo a.C., epoca a cui risalgono i reperti più antichi, tombe della cultura ‘villanoviana’ a fossa. Dal VII secolo iniziano le tombe a camera che col tempo divennero tombe decorate e dipinte, da artisti greci o comunque di scuola greca.

Le tombe dipinte di Tarquinia sono ben note, ma rimasero sepolte per lunghi secoli prima della loro riscoperta. La ricchezza delle tombe, riflette quella della città, purtroppo lungi dall’essere nota agli archeologi, se non per l’area del tempio ‘Ara della Regina’ e poche altre zone. Forse questa città conquistò Roma quando là vi regnavano i Tarquinii, forse fu solo un’influenza politica, certamente vi fu dominio culturale. Nel VI secolo a.C. già inizia la decadenza, nel IV iniziano le guerre per contrastare l’espansionismo di Roma. Ma la cultura etrusca fu dura da cancellare e continuò per secoli e secoli a manifestarsi in tutta l’Etruria meridionale. Il Museo Nazionale Tarquiniese contiene una delle massime raccolte di reperti etruschi in Etruria.
“… Poco dopo avvistiamo i tetti sparsi di Graviscae, spesso piagata da miasmi di palude nell’estate, nonostante le vicine fitte pinete che adombrano la sponda del mare…”
Lungo il litorale, a Marina di Tarquinia, vi era il porto di Tarquinia, Graviscae, ora Porto Clementino, dove si trovava il santuario di Hera Argiva, in quanto probabilmente fondato dai Greci nel VI secolo a.C.. Verso il IV secolo la presenza greca diminuisce, come testimoniano le iscrizioni ivi ritrovate. Il primo santuario consisteva in un recinto rettangolare con al centro un cortile con un pozzo e due altari; poi vi fu costruito un’altro sacello rettangolare dove furono trovati ex voto provenienti dall’isola egea di Chios, da Massilia, dall’Attica e da Lesbo. Un altro antuario fu edificato all’inizio del V secolo e dedicato a Demetra. L’abitato etrusco fu attivo dal VII al II secolo a.C. e fu più grande della successiva cittadina romana costruita fra il II e il I secolo a.C.
Prima del Fiume Fiora si trovava la stazione di Forum Aurelii, in corrispondenza della gloriosa città etrusca di Volci (Vulci), solo poche miglia nell’entroterra. In una campagna un tempo, non lontano, desolata e deserta, si trovavano un cupo castello medievale accanto a un agilissimo ponte sul Fiora, con ampio arco a tutto sesto etrusco-romano, e lì vicino i ruderi della città di Vulci, con la ricca necropoli. Il Ponte dell’Abbazia era l’unico punto di riferimento per il sito della splendida Volci, che mai risorse, ai limiti della Selva del Lamone, rifugio dei ‘leghisti’ della Giovine Italia, quando la visitarono Lady Hamilton-Grey e George Dennis, i primi etruscologhi moderni. L’abbadia cistercense, turrita, di nera pietra, esisteva già, nelle desolate Maremme, dal IX secolo, nell’XI i Cistercensi la resero quella che oggi si vede e che ha le funzioni di antiquarium degli scavi di Vulci. Oltre il Fiora è l’attuale confine Lazio-Toscana e si transita sotto Capalbio e siamo in vista di Cosa-Ansedonia. – Un litorale diventato palcoscenico di una ‘Fiera della Vanità’, per finti intellettuali e veri politici, che hanno spesso adornato le loro ville con reperti archeologici trafugati localmente, nell’indifferenza delle autorità preposte alla tutela del patrimonio culturale nazionale. – Nella Valle d’Oro, prima di giungere a Cosa, è stato, in anni recenti, effettuato uno degli scavi archeologici, fra i più importanti nella storia dell’archeologia classica: lo scavo della Villa romana di Settefinestre, la villa di Caio Sestio, commerciante di vini del I secolo a.C.. Lo scavo, effettuato fra gli anni ’70 e ’80, ha portato alla luce non solo i resti di una villa urbana con pars rustica, in mezzo a un latifondo, parte di un comprensorio ricchissimo di simili ville-fattorie delle quali solo tre studiate- ma ha costituito uno scavo modello per la particolare metodologia applicata. Il latifondo organizzato su basi schiavistiche, produceva essenzialmente vino e olio. Il vino, in particolare, veniva esportato verso la Provincia Narbonnensis e da lì raggiungeva il centro Europa.
“… Ora avvistiamo , abbandonate, le desolate antiche rovine e le orribili mura di Cosa. Con disgusto introduco fra cose serie le ridicole ragioni che determinarono la caduta di questa città, ma non riesco a trattener le risa. Si racconta che una volta la popolazione fu costretta a emigrare e lasciare le case perché queste erano infestate dai ratti! … Non lontano da qui vediamo il porto che è contraddistinto da nome di Ercole, mentre una brezza più leggera segue il declino del giorno. …”

Il porto da cui si effettuavano le esportazioni era quello della colonia romana di Cosa, sorta su un insediamento etrusco sul promontorio all’inizio della striscia di sabbia, il Tombolo della Feniglia, che collega il Monte Argentario alla costa. Sorta nel 273 a.C. come colonia romana, prese il suo nome da una vicina cittadina etrusca. Le mura urbane, turrite, in opera poligonale, risalgono al III-II secolo a.C. sono ispirate a modelli ellenistici. All’interno delle mura sono stati effettuati scavi che hanno messo in luce il Foro cittadino, modellato vagamente sul Foro Romano, alcuni edifici civili e un ‘horrea’, grande magazzino per merci. Il porto di Cosa è insabbiato, rimane il grande canale tagliato nel tufo detto ‘Tagliata Etrusca’. Sotto Cosa, sull’Aurelia si trovava la stazione di Succosa all’82° miglio.

Questo tratto della Via Aurelia può datarsi al III secolo a.C., mentre il tratto successivo, fino a Salebro, è posteriore. Di fronte in una baia dell’Argentario era Portus Herculis. All’interno della grande laguna di Orbetello, in luogo della cittadina attuale era Cosa etrusca della quale sopravvivono le mura poligonali. L’Antiquarium di Orbetello contiene diversi reperti locali.
“… Le ombre della notte non si erano ancora disperse quando prendiamo il mare. Nascente dal vicino crinale, una brezza ci è amichevole. Il Monte Argentario è là fra le onde, unito alla terraferma da un doppio argine che racchiude le azzurre acque della sua baia…. Ci riesce appena doppiare quel lungo circolo di pendii rocciosi; l’ampio giro non è privo di dure conseguenze -spesso soffi di vento, mutanti a ogni virata: le vele che ora ci aiutavano, poi diventano un impedimento. In distanza ammiro le vette boscose del Giglio: sarebbe un peccato ignorare l’isola, privandola dell’omaggio che la sua fama merita. Recentemente quest’isola riuscì a difendere le sue selve, forse grazie alla sua posizione naturale o grazie ai poteri soprannaturali dell’imperatore, quando, separata dalla terraferma da un modesto canale, sfidò eserciti trionfanti come se fosse stata lontana in alto mare. Accolse molti fuggiaschi dalla battuta Roma: qui il ramingo può abbandonare i suoi timori e trovare sicurezza certa. …”

E’ un miracolo pensare che un tale rifugio, in tempi di pericolo, possa essere così vicino a Roma e così lontano dai Goti. Oltrepassata la laguna la strada traversava il fiume Albegna per raggiungere Telamon. Poco a nord del fiume è stato recentemente trovato un cippo miliario di Emilio Scauro, console nel 115 a.C., il ché proverebbe che egli prolungò la Via oltre Cosa in quell’anno. Di fronte alla cittadina odierna, sul colle di talamonaccio, sorse la città etrusca. Anche se la tradizione attribuisce a Talamone nobili e antiche origini, i ritrovamenti hanno deluso gli archeologi da questo punto di vista. Ciò che non ha deluso è invece la qualità dei reperti. Sul colle sono stati messi in luce i resti di un tempio etrusco che se pur miseri, hanno però restituito numerosi frammenti del magnifico frontone di terracotta con una complessa e sofisticata scena dell’episodio dei “Sette contro Tebe”; dei sette guerrieri che vollero togliere il trono a Eteocle il figlio di Edipo. Superbamente restaurato, il gruppo scultoreo è stato restituito al pubblico nel Museo Archeologico di Firenze. Ma Talamone è famosa per la battaglia fra Romani e Galli. La terribile conflagrazione ebbe luogo nel 225 a.C. e gli invasori, ai quali si erano aggregati Etruschi e Italici, furono annientati dalle armate dei consoli Emilio Papio e Attilio Regolo. A Camporegio, presso Talamone, è stato rinvenuto un grande cimitero comune con resti di uomini e cavalli su un letto di calce viva, forse riferibile ai caduti nell’eccidio. La battaglia fu seguita immediatamente dall’espansione romana in territorio gallico. I Romani si erano allarmati quando il grande e disordinato esercito marciò attraverso gli Appennini e si prepararono a mobilitare un’armata di mezzo milione di uomini – che poi non fu necessaria – pur di fermare il nemico. Ora i Monti dell’Uccellina, coperti di cupo verde, separano la Via dal Mare fino alla pianura alluvionale dell’Ombrone che l’Aurelia traversava dove è oggi l’attuale Grosseto, non lontano dalle città etrusche di Rusellae e Vetulonia collegate alla Via tramite una deviazione interna.
“…Tocchiamo l’estuario dell’Ombrone: un fiume di non trascurabile entità, accoglie imbarcazioni in difficoltà con un sicuro accesso: con la sua corrente discendente il letto del fiume offre un facile approccio quando una crudele tempesta esplode dagli abissi. Qui volli sbarcare sulla quieta sponda, ma siccome i marinai volevano andare avanti, io cedetti: così navigando via, mi accorsi che la brezza si era fermata col venire del giorno.; così non si poteva più andare né avanti né indietro. Così decidemmo di piazzare il campo sulle sabbie della riva: i mirti ci forniscono il fuoco della sera. Innalziamo le piccole tende con i remi che fungono da pali: un palo posto trasversalmente aiuta a formare un provvisorio tetto…”
Rusellae sorgeva su una bassa collina presso l’Ombrone, di fronte al Prelius Lacus, che invadeva la piana grossetana. Le mura della città etrusca, del VI secolo, composte di enormi blocchi di pietra piuttosto grezzi, e in parte di mattoni crudi, hanno un andamento che segue il perimetro naturale dell’altura, peraltro molto irregolare e poco livellata. Al centro dell’area urbana sono stati rinvenuti i resti del villaggio villanoviano dell’VIII secolo a.C.. Da questo periodo in poi la città seguì gli eventi delle altre città costiere dell’Etruria e ogni perioo vi è ampiamente documentato anche a seguito di scavi metodici che vi si sono svolti da lungo tempo. Contrariamente a quanto è accaduto per le altre città etrusche, a Roselle si é scavata la città più che la necropoli, questa fu devastata e saccheggiata in tempi antichi.

Rusellae divenne città romana e acquistò edifici adeguati, come un foro, un anfiteatro, un teatro, terme, templi, etc. La città ebbe vita anche nell’alto medioevo, ma la malaria ne determinò la fine lenta e inesorabile, finché sul colle non rimasero visibili altro che i lecci, le scope e i corbezzoli. Vetulonia, situata a nord dell’Ombrone sui Monti d’Alma, non fu identificata fino ad epoca relativamente recente, 1887. Il villaggio di Colonna fu infine identificato con la vetusta città etrusca e ribattezzato col vecchio nome. La città si estendeva a cavallo delle colline, la sua necropoli è vastissima e copre tutti i periodi della storia etrusca; Le tombe più significative ono quelle a falsa cupola del VII secolo, vagamente reminiscenti del Tesoro di Atreo di Micene. L’Aurelia si portava sulla costa, dove è adesso Castiglion della Pescaia e seguiva l’attuale strada fino prima di Follonica,dove era una stazione detta ‘Salebro’, forse Scarlino. Qui terminava la Via Aurelia al 132° miglio, e iniziava la Via Aemilia Scauri.
Articoli correlati:
Rutilio Namaziano “De reditu suo”: da Roma a Luni (prima parte)
Rutilio Namaziano “De reditu suo”: da Roma a Luni (terza parte)