Buona anche d’estate?

Pane toscano
Pane toscano

Cosa dire di nuovo di un piatto conosciuto e usato in tutte le tavole della Toscana nonostante le sue origini fiorentine?

Qualcosa l’ho scoperto per caso quando in alcune trattorie l’ho visto servire anche d’estate.

Rivista e rivisitata, la ribollita, piatto poverissimo, ha saputo adattarsi nel tempo perdendo anche la sua caratteristica stagionale?

Ma procediamo con ordine.

Le storie ci raccontano e ci tramandano un’origine medievale.

I piatti e le posate individuali si sa non trovarono posto sulle tavole prima del Rinascimento; in precedenza era uso consumare servendosi, da taglieri e piatti comuni, con le mani e ancora prima utilizzando piatti fatti di farina e acqua: farinate cotte e schiacciate erano il piatto dei signori dei castelli medievali anche se la storia ci tramanda che questa usanza era antichissima tanto che Virgilio nell’Eneide racconta che:

Aeneas primique duces et pulcher Iulus/ corpora sub ramis deponunt arboris altae,/ instituuntque dapes et adorea liba per/ herbam subiciunt epulis (sic Iuppiter ipse /monebat) et Cereale solum pomis agrestibus/ augent. consumptis hic forte aliis, ut vertere/ morsus exiguam in Cererem penuria adegit /edendi, et violare manu malisque audacibus /orbem fatalis crusti patulis nec parcere/ quadris: ‘heus, etiam mensas consumimus? inquit Iulus […]Virgilio Eneide, libro 7, vv. 107-115

(Enea, i primi capi ed il bello Iulo posano i corpi sotto i rami di un’alta pianta, preparano il banchetto e nell’erba mettono focacce di farro sotto le vivande (così Giove stesso ordinava) e vi aggiungono sopra frutti agresti. Allora consumato già il resto, la povertà del mangiare spinse a volgere i morsi verso la piccola focaccia (Cerere) e violare con mani e mascelle audaci il piatto di focaccia: Ahi, mangiamo anche le mense? Disse Iulo […]

Ma torniamo alla ribollita: perché questa citazione? Si racconta che le “mense” avanzate dalle tavole dei signori venissero poi servite come cibo per gli affamati lavoratori, la servitù del castello, magari… bollite con verdure e altri vegetali reperiti negli orti. Che il suo nome derivi da questo non è detto. Secondo Paolo Petroni il termine è recente, inventato da qualche ristoratore, altri invece sostengono derivi dal fatto che fosse cucinata per il venerdì di magro e che poi si consumasse in più giorni e pertanto fosse “ribollita”. In effetti, a guardar bene, se non fosse ribollita sarebbe una semplice zuppa di pane raffermo con verdure, come la chiama l’Artusi “Zuppa toscana di magro alla contadina”.

Ricetta dell’Artusi

Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l’epiteto di contadina, sono persuaso che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.

Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400.

Fagiuoli bianchi, grammi 300.

Olio, grammi 150.

Acqua, litri due.

Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza.

Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più.

Un mazzo di bietola e un poco di pepolino.

Una patata.

Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie.

Mettete i fagiuoli al fuoco con l’acqua suddetta unendovi le cotenne. Già saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e due spicchi d’aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l’olio soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi tagliati all’ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda dei fagiuoli. Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi. Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla dopo una ventina di minuti.

Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia.

timofiorito
Timo

Sul “diaccia” quindi anche l’Artusi è d’accordo. Ma cosa contraddistingue questo piatto?

L’uso del cavolo nero toscano, un ortaggio che acquisisce il suo sapore migliore dopo le prime gelate e, senza cavolo nero toscano… non è “ribollita”. E lo ribadisce il Dizionario della Treccani dove alla voce ribollita si legge:

ribollita s. f. [der. di ribollire]. – In Toscana, minestra di cavolo nero e fagioli passati, fatta ribollire con fette di pane; in passato, era così chiamato anche il caffè fatto con i fondi di una precedente preparazione.

Fagioli cannellini secchi
Fagioli cannellini secchi
cavolo nero toscana
Cavolo nero toscano

Ma cosa ha di speciale il cavolo nero toscano detto anche cavolo palmizio o a penna? È una razza molto resistente e si distingue dalle altre per essere acefala, nel senso che non fa la palla.

La ribollita di Paolo Petroni che nel suo libro* definisce D.O.C. perché è stata certificata dalla delegazione di Firenze Dell’Accademia italiana di cucina dopo una lunga ricerca e sperimentazione

8 persone

-fagioli bianchi cannellini secchi g 400

-cavolo nero g 400

-cavolo verza mezza palla g 700

-bietola in foglia g 300

-2 patate medie

-1 cucchiaio di conserva ( o g 300 di pelati)

-timo o pepolino

-odori ( 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 2 gambi di sedano 2 carote)

-olio extra vergine di oliva di frantoio

-pane scuro casalingo raffermo g 400

Cuocere i fagioli, messi a bagno la sera prima, in 2 litri di acqua fredda leggermente salata, passatene circa i tre quarti e rimettetene la purea così ottenuta nel brodo di cottura. In un largo tegame fate rosolare, in 8 cucchiai d’olio, la cipolla e l’aglio tritati, appena appassiscono unite un po’ di pepolino (non molto), le carote e il sedano a fettine. Dopo poco aggiungete le patate e le restanti verdure pulite, lavate e tagliate a pezzetti;  unite anche la conserva diluita in poca acqua calda ( o i pelati), salate e fate stufare per alcuni minuti. Versate tutto il brodo dei fagioli e fate cuocere piano per circa un’ora, aggiungendo acqua, se occorre. Alla fine unite anche i fagioli interi. Tagliate il pane a fettine sottili e mettetele nella zuppa, quindi girate bene, cuocete per pochi minuti e togliete dal fuoco. Lasciate riposare a lungo (anche una notte), poi “ribollite” per alcuni minuti aggiungendo poco olio. Servite la ribollita calda o tiepida, con un filo d’olio a crudo e pepe appena macinato, assolutamente senza formaggio.

*Paolo Petroni Il grande libro della vera cucina Toscana

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