I cenci dell’Artusi

Pellegrino Artusi e il frontespizio de l'Arte di mangiar bene
Pellegrino Artusi e il frontespizio de l’Arte di mangiar bene

I dolci fritti di cui andiamo a chiacchierare non sono tipici toscani, la loro tipicità sta nel nome. Pellegrino Artusi, romagnolo d’origine e toscano d’adozione, non ebbe dubbi, quando ne fornì la ricetta, nel chiamarli cenci il plurale di cencio, senza soffermarsi sugli altri nomi che prendevano in altre regioni italiane.

Il termine documentato già dal XIII secolo derivava da brandello, ritaglio di stoffa. Il D.I.R. ce ne dà la definizione: “Al plurale, nome di un dolce toscano di pasta sottile, tagliato a strisce, rettangoli, pezzi informi come i cenci”

Fuori di Toscana sono conosciuti come galani, derivato da “gala”, termine di origine spagnola, con il significato di fiocco; e come frappe o sfrappe dal francese antico, “frape”, con il significato di striscia di stoffa smerlata usata come guarnizione di abiti o tende.

Una vecchia conta veneta li rammenta “Mi lavo le mani per fare i galani per uno per due per tre per quattro…per otto, biscotto!”

E continuando a cercare tra i nomi regionali che li chiamano nei modi più disparati e creativi, troviamo anche “chiacchiere”, “bugie”, “fiocchetti” e “meraviglie”.

Tanti modi di chiamare un solo dolce che riassume in alcuni dei diversi nomi di cui si fregia, la particolare forma smerlata dei margini della pasta tagliata a strisce e fritta; interessante l’accezione quando vengono indicati come “bugie”, “intrigoni” ma anche “frappa” però nel significato di ciarla o inganno oppure “galani” con il significato di persona che ha tempo da perdere: è per questo motivo che si considerano dolcezze carnevalesche, quando ogni scherzo vale?

La tradizione della pasta dolce fritta da molti viene fatta risalire alle feste pagane dell’antica Roma e precisamente ai Liberalia, feste che cadevano il 17 di marzo, in onore del dio Liber Pater più conosciuto come Bacco, patrono della fecondità e dei raccolti nonché delle libagioni. In quel periodo i giovani divenuti maggiorenni vestivano la toga virile e per le strade su fornelli portatili si vendevano focacce di farina e miele chiamate libae o frictilia fritte nel grasso di maiale; altri invece vi riconoscono le frittelle.

Considerati oggi il dolce tipico di Carnevale in realtà sono semplici e gustosi, fanno profitto e si possono gustare in tutte le occasioni.

I cenci toscani
I cenci toscani

A chi volesse rispettare la tradizione ecco di seguito la ricetta dell’Artusi:

Cenci

Farina, grammi 240

Burro, grammi 20

Zucchero in polvere, grammi 20

Uova, N.2

Acquavite, cucchiaiate N.1

Sale, un pizzico

Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio. Se vi riuscisse tenera in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina. Tiratene una sfoglia della grossezza d’uno scudo, e col coltello o con la rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o tre dita. Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle o intrecciarle o accartocciarle, onde vadano in padella (ove l’unto, olio o lardo, deve galleggiare) con forme bizzarre. Spolverizzatele con zucchero a velo quando non saranno più bollenti. Basta questa dose per farne un gran piatto. Se il pane lasciato in riposo avesse fatto la crosticina tornatelo a lavorare.

Dolci maschere di carnevale
Dolci maschere di carnevale

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