di Giovanni Caselli

Gli Archeologi Lucia Sarti e Fabio Martini scrivevano nel 1993 che a fianco del primo lotto di edificazione universitario a Sesto Fiorentino, ai piedi del Monte Morello, vi è un’area di intensa espansione edilizia che fin dai primi scavi si rivelò ricca di reperti archeologici che datavano da 10.000 anni fa all’epoca romana. Nacque quindi il Progetto Sesto volto all’indagine archeologica globale, ma in particolare preistorica, di tutta la zona pedemontana ai margini settentrionali della piana fiorentina. I dati ottenuti dagli scavi illustrano le fasi e il carattere del primo popolamento umano della zona.
I reperti più antichi risalgono al Mesolitico, ma naturalmente l’area era stata frequentata anche durante il Paleolitico. Gli insediamenti rilevati sono tutti situati in pianura, ma è possibile che ne esistessero anche sulle colline, dove non sono stati ancora effettuati scavi.

Dalla fine del V millennio a.C. si manifesta nell’area la cultura del Neolitico ed i primi insediamenti stabili compaiono in questa fase. I fondi di capanna rinvenuti dimostrano che gli edifici, datati a 5.700 anni fa, erano affossati nel piano di campagna e quindi analoghi a quelli coevi rinvenuti nel nord d’Italia. Allo stesso gruppo di culture nord italiane appartengono anche le ceramiche: i tipici “vasi a bocca quadrata”.
Nel periodo successivo, poco più di 5.000 anni fa, si trovano ceramiche e materiali appartenenti alla cultura nota tecnicamente come Chassey-Lagozza che era giunta qui prima che altrove a sud dell’Appennino. A quel tempo la piana fiorentina era, come il Mugello, un acquitrino probabilmente ricco di fauna e di risorse alimentari. Queste genti neolitiche allevavano pecore, capre e suini in numero maggiore dei bovini.

Dalla fine del III millennio, Età del Rame, giunge qui la cultura dei “bicchieri campaniformi” (bell beakers) che indica inequivocabilmente una migrazione di genti giunte in Italia dal centro Europa. Si verifica allora un notevole incremento demografico dovuto sia ad una naturale crescita sia a successive ondate migratorie.
Avvengono disboscamenti notevoli e si espande l’agricoltura assieme all’allevamento di bovini. Le analogie culturali, specialmente in fatto di strutture funerarie richiamano il nord Europa e in particolare i Paesi Bassi.
La sepoltura rituale di un bue rinvenuta qui a Sesto non ha che questo esempio in Italia. La novità più importante è tuttavia l’arrivo del cavallo da sella e quindi giungono in Italia, per la prima volta lungo la Via Tirrenica, anche i primi cavalieri delle steppe.
Nella fase successiva, l’Età del Bronzo, (3400 anni fa circa) gli insediamenti si diradano, probabilmente diffondendosi su un più vasto territorio. Il lago si riduce e così anche l’ambiente palustre e lacustre. Ora vi sono sicuramente sono insediamenti anche insediamenti d’altura fortificati.
Verso il 1200 a. C gli insediamenti d’altura vengono distrutti e abbandonati , per essere rioccupati solo 600 anni più tardi da centri etruschi orientalizzante. La pianura viene allora drenata mediante una rete regolare di canali anche navigabili e bonificata per l’agricoltura intensiva.
Tornando ora alla scoperta delle tombe di Palastreto, l’archeologo Daniele Gregari ci informa che sappiamo oggi trattarsi di una vasta necropoli estesa “forse per centinaia di metri lungo il pendio della collina sovrastante le tombe a tholos della Montagnola e della Mula”. La località Palastreto si trova presso Santa Lucia alla Castellina, dominante Quinto Fiorentino, ed occorre dire che ovunque, in Toscana, il toponimo “castellina” indica in tutti i casi da me verificati, la presenza di costruzioni di epoca etrusca.
I reperti rinvenuti dal Gregori indicano che le tombe risalgono ad un periodo che va dalla fine dall’VIII a tutto il VI secolo a. C. e l’archeologo si chiede se tutto il pendio del Monte Morello possa essere stato un grandiosa necropoli, ma i ritrovamenti non sono sufficienti a sostenere una tale tesi. La grande necropoli era probabilmente l’area di sepoltura di una moltitudine di villaggi o comunque di una estesa popolazione che abitava la pianura allora intensamente antropizzata.
Le tombe a tholos(a cupola di pietrame a secco coperte di terra a formare tumuli erbosi) di questa zona vengono poste in relazione a quelle di Vetulonia ed altre a quelle di Volterra e Casalmarittimo e perciò si può ipotizzare un legame fra queste aree, assai distanti fra loro, mediante la transumanza.

Verso la fine degli anni ’90 nell’area destinata alla costruzione dell’Interporto della Toscana Centrale, in toponimo Gonfienti, esattamente nel punto in cui giunge la via naturale transappenninica da me rilevata, furono rivenuti i primi resti di quello che si è col tempo rivelato un insediamento etrusco di notevole consistenza.
Gli archeologi che nel 1997 iniziarono un saggio si accorsero subito che si trattava di edifici di considerevoli dimensioni disposti su una griglia di ampie strade disposte a scacchiera. I muri esterni degli edifici erano spessi, costruiti con la tecnica detta “a sacco”. La funzione degli edifici appariva abitativa anche secondo la tipica ceramica da mensa presente nelle rovine che consentiva una datazione fra VI e V secolo a.C.
Le case, probabilmente con solo piano terra o ad un piano, avevano tutte un cortile acciottolato con pozzo e tetti di tegole ed embrici come gli attuali, ma spesso ornati con antefisse figurate.

Dagli scavi è uscita una strada larga 10m con orientamento NE SO e selciato irregolare solcato dalle rotaie causate dal transito di carri nella parte centrale. La griglia ortogonale sulla base della quale è organizzata la città etrusca, ha un parallelo proprio in Marzabotto, nell’alta valle del Reno.
L’impianto urbanistico è regolare e gli spazi razionalmente strutturati. Vi sono profondi canali per lo scolo delle acque ai margini delle strade i quali, coperti con lastre di alberese, servono da marciapiedi. Il ritrovamento di un denario di argento di Antonino Pio dimostra una frequentazione delle rovine di questa città anche in tarda epoca romana.
Gli scavi di Gonfienti, purtroppo sospesi nel 2004, hanno consentito di estrapolare una cronologia dell’insediamento in questa area che per il suo rapporto con la via naturale della Calvana costituisce l’unico parametro utile per il Mugello occidentale dove non sono state fatte ancora ricerche ad ampio raggio.
I primi manufatti rinvenuti nella zona risalgono a 120.000 anni fa e questi si trovavano ai piedi della collina. Vi sono poi resti attribuibili all’Uomo di Neandertal, 100.000-35.000 anni fa e quindi resti del Paleolitico superiore e Mesolitico (35.000-15.000 anni fa circa).
Lungo la strada militare da Calenzano a Barberino, a Molino Bini, sono stati trovati resti del Neolitico e dell’Età del Rame. Tuttavia è nella pianura, ai piedi delle colline, che si riscontra una continuità ininterrotta di vita dall’epoca del Neandertal al presente. E’ da notare che nelle alture l’insediamento è discontinuo, con fasi di abbandono dal 1200 al 600 a.C, quindi dall’epoca della colonizzazione romana alla conquista longobarda quando le alture furono rioccupate.
La città di Gonfienti si configura come un emporio collegato a Pisa mediante l’Arno e il Bisenzio, ambedue sicuramente canalizzati. Qui giungevano beni di lusso dal Levante e materie prime da Marzabotto e Bologna. Le merci ovviamente giungevano o partivano da qui con basti percorrenti la via naturale della Calvana.

La città-emporio era poi collegata con Artimino, situata lungo la via di transumanza del Montalbano, che collegava l’Appennino pistoiese con le vie per Volterra, e Vetulonia. La strada del pedemonte, la futura Cassia-Clodia per Lucca, proveniva dal ponte di Firenze e a questa si univa la via dalla vicina Fiesole.
Gli scavi e i ritrovamenti archeologici hanno quindi confermato negli anni la validità di un metodo di ricerca archeologica e di interpretazione.