A pochi chilometri l’uno dall’altro, su brevi deviazioni della Strada provinciale 540 della Valdambra, i due complessi abbaziali con chiesa annessa oggi sono due piccoli borghi arroccati attorno alle loro antiche badie, così come sorsero intorno ai castelli. Si legano infatti al fenomeno delle abbazie fortificate, costruite intorno al X – XI secolo.

Entrambe appartenenti alla congregazione camaldolese, dall’inizio al XII secolo, si differenziano per le notizie storiche che le riguardano: di San Pietro a Roti scarseggiano le testimonianze documentarie che al contrario sono molto ricche per Santa Maria di Agnano. Entrambe centri di potere economico entrarono in contesa con i feudatari laici, come gli Ubertini nel caso di San Pietro a Roti, per la riscossione degli affitti sui loro possedimenti, contese che, nel caso di Santa Maria, spinsero nel 1350 l’abate ad assoggettare tutta la congregazione dei monaci e degli abitanti del borgo al Comune di Firenze in cambio di protezione che comportava grossi oneri, anche in termini di contributi in danaro oltre che di soldati in caso di guerra.


Lo storico ottocentesco Emanuele Repetti così descrive i suoi possedimenti nel Dizionario:

ABAZIA DI AGNANO in Val d’Ambra nel castello omonimo, popolo dei SS. Tiburzio e Susanna; uno dei cinque Comuni distrettuali di Val d’Ambra, Giurisdizione e 4 miglia toscane a scirocco del Bucine, Diocesi e Compartimento di Arezzo, che è circa a 14 miglia toscane a greco. – Fu una delle più potenti Badie sotto l’invocazione di S. Maria, S. Paolo e S. Bartolommeo, fondata dagli Ubertini, e da altri regoli dell’aretino contado. – I monaci che l’abitarono, militando ora sotto l’insegna dei Cassinensi, ora sotto quella dei Camaldolensi, pervennero a signoreggiare una non piccola estensione di territorio, il quale abbracciava a ponente il castello di Capannole, a settentrione Castiglione Alberti, a levante Presciano e Monteluci, a scirocco Cacciano, a ostro S. Pancrazio con le ville di Cronia e Montealtuzzo, oltre la giurisdizione sopra molte chiese di quella vallata, della Val di Chiana, e dei contorni di Arezzo.

Sulle sue origini esistono due studi: il primo la vuole fondata nel X secolo ad opera di Rolando degli Ubertini e da Sigifredo da Teuzone, il secondo fa invece risalire la fondazione ai monaci benedettini e all’anno 1050. Tra alterne vicende fu sottomessa all’Eremo di Camaldoli per separarsene e poi tornare ai camaldolesi nel XVI secolo, i cui abati la governarono fino al 1810 quando fu soppressa dalle leggi napoleoniche.
A ricordare l’origine camaldolese lo stemma sul basamento del fonte battesimale: l’Ordine Camaldolese fondato agli inizi dell’undecimo secolo da san Romualdo, ebbe per stemma un calice in campo turchino, in cui bevono due colombe, e sopra il calice una stella codata.

Oggi resta la chiesa che svolge funzioni parrocchiali mentre parte delle antiche strutture conventuali sono inglobate nella canonica. Per accedere alla chiesa occorre attraversare un grande arco a volta, un’antica porta di accesso al complesso abbaziale di cui oggi rimangono la chiesa, la canonica e la chiesetta della compagnia. La chiesa di architettura romanica ha la facciata in pietra alberese.

L’origine della Badia di San Pietro a Ruoti è assai lontana del tempo ed è stato difficile, in base alle fonti documentarie, stabilirne con esattezza la data di fondazione. Potente come quella della vicina Agnano aveva anch’essa, nel secolo XI, sotto la propria giurisdizione un elevato numero di chiese e monasteri. Nel 1076 la nobile famiglia aretina de’Ruoti, donò il monastero insieme alle sue dipendenze all’Eremo di Camaldoli. Varie volte assediata fu difesa dagli Ubertini e dagli stessi monaci e tornò nuovamente libera nel 1392, ma nel 1479, dopo l’assedio delle truppe napoletane che occuparono il monastero, in parte distruggendolo, ebbe inizio la sua decadenza e la fine dell’esperienza camaldolese.


Oggi al suo interno conserva una pala di notevole pregio artistico: l’Incoronazione della Vergine tra Santi di Neri di Bicci e datata 1472.
Ne Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti di Giorgio Vasari si legge:
Per la Badia di Ruoti in Valdambra, tolse a dipingere una tavola collo stesso soggetto, con a destra San Pietro, San Bartolommeo e San Benedetto inginocchioni; a sinistra San Paolo, San Jacopo e San Romualdo ginocchioni; con istorie nella predella: da lato, sotto le colonne, il segno dell’Ordine; negli sguanci, dal lato ritto, San Girolamo, San Martino, Sant’Antonio e San Lorenzo; dal lato manco, San Sebastiano, Santa Maria Maddalena, Santa Caterina, San Raffaello e Tobia.

E aggiungeva in nota:
Il lavoro di legname e d’intaglio fu fatto da Giuliano di Nardo da Maiano. Tavola larga 4 e ¼ , alta braccia 4 1/6. La diè finita il 24 ottobre 1472, e il 25 andò Neri stesso “a rizzare detta tavola” e menò seco Antonio suo figliuolo. N’ebbe in pagamento fiorini 46 larghi dall’abate Bartolommeo.

Nella predella, la tavola che costituisce la base inferiore spesso suddivisa in pannelli con scene relative, ancora lo stemma dell’ordine dei camaldolesi.
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